Alla qualità europea non serve carta d’identità
Non conta in quale paese si nasce o ci si forma, ma come si posa lo sguardo sul mondo. Per dirigere un museo è necessario, oggi, avere una visione di quanto accade nella cultura e nelle geografie di persone in continuo spostamento. Saper intercettare il nuovo anche nella tradizione. Soprattutto se sei nel cuore di Firenze, città che da sempre vive in modo contrastato il suo passato e il suo presente d’arte. Così, James Bradburne in questi anni ha lavorato sia sulla valorizzazione del patrimonio di Firenze sia sull’identità contemporanea della città, riportando palazzo Strozzi ad essere un simbolo. Saranno coincidenze o strategie di politiche culturali, ma al suo posto dallo scorso marzo c’è Arturo Galansino, già curatore alla Royal Academy di Londra, dove ha scommesso, vincendo, su Giovanni Battista Moroni, un ritrattista del ‘500, che ha conquistato gli inglesi. Un segnale della tendenza ad aprire agli stranieri è venuto anche dal ministro Franceschini, che (creando scalpore) ha affidato la cura dei nostri musei a talenti «europei». Piace, invece, immaginare l’arricchimento che può venire dal confronto tra le esperienze; credere che con Bradburne e Galansino si possa ricreare la sintonia tra Firenze e il mondo anglosassone che ha dato tanti risultati nel passato; o tra Firenze, l’Europa e gli Usa: come ai tempi di Longhi e Berenson. L’eredità che lascia Bradburne è considerevole, un brand riconoscibile dall’Italia al Giappone, mostre di qualità, riconoscimenti, un polo culturale a tutti gli effetti e — ciò che più conta — successo presso il pubblico, che si lascia ingannare meno di quanto si pensi. Ora lui è a Milano, in un altro luogo strategico. A Firenze adesso Galansino intende proseguire sulla stessa linea del suo predecessore, ma aprire anche alla modernità, in dialogo con l’esperienza che ha maturato al Louvre tra una mostra di Mantegna e una su Leonardo.