La Scala secondo Chailly
Teatro più aperto a nuove sinergie Ma basta debutti di artisti emergenti
Ci saranno cori di angeli e di diavoli. Apparizioni e allucinazioni in quantità, come si conviene a una santa guerriera, vergine innamorata, fanciulla che sente le voci. Martire per la patria e per la fede, pronta a salire al rogo a 19 anni…
«E il rogo ci sarà», assicura Riccardo Chailly, paladino di questa Giovanna d’Arco di Verdi che il 7 dicembre aprirà la stagione della Scala, lui sul podio, Anna Netrebko Pulzella d’Orleans.
Eppure il libretto la prevede morta in battaglia.
«Difatti. Ma le fiamme ci saranno, sono un elemento ineludibile. È un’opera visionaria come lo sarà la regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier. Un viaggio nella mente di Giovanna, nei suoi deliri».
Perché scegliere per il suo primo Sant’Ambrogio da direttore principale un’opera così poco frequentata, giudicata minore?
«È un titolo storico del teatro. Giovanna è nata qui nel 1845. È stata ripresa una sola volta vent’anni dopo, quindi è sparita dal cartellone. Riportarla in scena è doveroso. E poi la ritengo un passaggio obbligato per capire Verdi. Dentro ci sono temi che anticipano capolavori successivi: da Aida a Requiem, da Rigoletto alla Forza del Destino a Ballo in maschera ».
Ma allora perché è così poco eseguita?
«È molto complessa musicalmente e ardua vocalmente. Alla Scala ci sarà Anna Netrebko, affiancata da Francesco Meli e Carlos Alvarez. E poi Giovanna mi è cara da sempre. Nell’89 la diressi a Bologna, regia di Herzog».
Continuerà la «primina» per i giovani?
«Certo. Penso a molte anteprime per universitari, mi piace una Scala più aperta».
Anche traslocata a Malpensa, come per l’«Elisir»?
«Francamente ero scettico. Poi mi sono ricreduto. In tv ha funzionato, è un modo per avvicinare un nuovo pubblico. Persino in aeroporto è difficile restare insensibili a tali arie». Lei l’avrebbe diretta? «Mi è stato chiesto ma non ho accettato anche se l’Elisir d’amore è tra le mie opere preferite. Apprezzo l’operazione, ma non corrisponde alle mie esigenze di musicista».
I concerti Discovery e in Duomo stanno creando una nuova alleanza con Milano.
«Vorrei inventare sinergie, progetti monotematici come a Berlino o a Vienna. Coinvolgere teatri, musei, cineteche, intrecciare sguardi diversi. Avrei voluto cominciare già da Giovanna... Ma spero per il futuro».
Da prossimo direttore musicale della Scala ha già invitato nomi di prestigio.
« Haitink, Harnoncourt, Blomstedt... Spiace non siano venuti prima. D’altra parte negli ultimi anni si è ecceduto in senso opposto. Si sono invitati artisti non ancora pronti per titoli impegnativi, non dando a loro stessi la possibilità di sperimentarsi al meglio. La Scala è un punto di arrivo».
Dopo la sua nomina al festival di Lucerna lascerà Lipsia in anticipo.
«Sono al Gewandhaus da 11 anni. Abbiamo intrapreso percorsi importanti, da Beethoven a Brahms, da Mendelssohn a Schumann e Mahler. Tra poco partiremo per l’ultimo tour europeo e a giugno ci congederemo. La Scala e Lucerna sono impegni molto seri. A Lucerna è un privilegio subentrare ad Abbado, il mio esordio sarà con l’Ottava di Mahler, che dedicherò a lui».
La rivista musicale Bachtrack l’ha eletto miglior direttore del mondo.
«Una bella sorpresa. Soprattutto perché viene da un gruppo di musicologi che stimo. Talora hai la sensazione di non essere seguito: non è così».
Una medaglia vinta anche per il suo ricco repertorio.
«Non amo la ripetizione. E questo mi obbliga a studiare, a ricercare anche nella musica contemporanea. Alla Scala ogni anno sarà commissionata una nuova opera, la prima a un compositore italiano. Con la Filarmonica mi piacerebbe esplorare il mondo di Maderna. Faremo anche molte tournée, l’anno prossimo a Salisburgo e poi Lucerna». Dove trova tanta energia? «Fare musica è molto coinvolgente. Ma ora desidero dedicare più tempo a me stesso e alla mia famiglia. Ho bisogno di pause per liberare la testa e riempire il cuore. Ho imparato l’arte di “staccare” e quando lo faccio non ascolto più una nota. Mi è capitato di entrare in un ristorante, Mahler in sottofondo: “Se non interrompete vado via”, ho detto. Per distendermi ho bisogno di silenzio».
L’opera «Giovanna d’Arco» di Verdi è nata qui: doveroso riportarla in scena il 7 dicembre