Corriere della Sera

«Che felicità lo scudetto a Sassari Meno esplosivi ma più concreti»

Sacchetti: «Abbiamo vinto perché tenaci e fiduciosi in noi stessi Mi piacerebbe allenare il Real, ho rifiutato due volte la mia Varese»

- Flavio Vanetti

Romeo Sacchetti, coach della Sassari campione d’Italia: secondo lei il potere stressa oppure, come avrebbe detto Giulio Andreotti, logora chi non ce l’ha?

«Lo scoprirò più avanti. Forse. Per ora sappiamo chi siamo e sappiamo che abbiamo vinto. Le pressioni stanno a zero».

In questi mesi ha percepito il gusto di aver vinto?

«Mentre ero in vacanza ho ripensato allo scudetto e l’ho trovato di una bellezza impagabile».

Quale significat­o dà a questo titolo?

«Spiega che la vita è fatta di occasioni da cogliere. C’entra la fiducia, non solo la fortuna. Se non avessimo catturato, con convinzion­e e tenacia, due rimbalzi offensivi nella semifinale contro Milano, non saremmo approdati a nulla. Lo sport spesso ti avverte con messaggi cifrati: sta a te comprender­li».

Che cosa deve succedere affinché questo non sia un trionfo «una tantum»?

«In teoria c’è chi è più titolato di noi. Ma vogliamo continuare a essere come siamo e, soprattutt­o, vogliamo giocarcela con tutti».

La preoccupa l’idea che Sassari potrebbe cadere subito?

«La nostra forza è stata di compiere tanti passi in avanti. Poi abbiamo dovuto compiere un salto. Adesso anche i salti sono finiti: vediamo se diventiamo una squadra di governo e di continuità».

Il campionato comincia domenica. Lei ha indicato altre favorite per lo scudetto, ma questo l’hanno fatto anche i suoi colleghi. Perché c’è questa tendenza a scaricare il barile e di non proporsi mai come favoriti?

«Forse perché se poi si vince si può dire di averlo fatto contro pronostico...» (risata).

Siete più o meno forti della scorsa stagione?

«Siamo diversi: meno esplosivi e con meno “punte”, ma più concreti nella media dei valori».

Che cosa dovrete fare per evitare che l’Eurolega diventi di nuovo una passeggiat­a a Disneyland?

«L’abbiamo già vista e vissuta. Ci ritorniamo con lo scudetto sulle maglie e con più esperienza. A quel livello la profondità delle squadre è pazzesca e il fisico fa la differenza. Noi dovremo essere... più perfetti che in campionato».

Ha di nuovo una squadra di «saltatori».

«Il mio basket è verticale e mi piacciono i grandi atleti. Avendo allenato Pozzecco e i Diener, pensavo che bastasse avere giocatori dalle grandi letture. Invece serve anche altro, posto che quelli che abbinano queste cagirone: ratteristi­che all’esplosivit­à li trovi solo nella Nba».

Da grande ex azzurro, argento olimpico 1980, campione d’Europa nel 1983 e medaglia di bronzo nel 1985, come giudica l’Eurobasket dell’Italia?

«Ho visto poche partite. Dopo il successo largo su Israele ero convinto che sarebbe stato più facile arrivare in finale. Immaginavo che avremmo piegato la Lituania nei quarti e che in semifinale avremmo riscattato, contro i serbi, la sconfitta nel lo aveva già fatto l’Italia del 2003 con la Francia. Invece, quel quid in più è scattato ai lituani. La qualificaz­ione ai tornei preolimpic­i è una consolazio­ne? Sì, ma va stretta».

Simone Pianigiani è stato criticato.

«È un classico dello sport italiano: un commisario tecnico deve prendersi anche le colpe non sue».

Lei lo farebbe? Il c.t., intendiamo...

«Per carità, non tiratemi in ballo… Ma farei volentieri il vice di un grande allenatore».

Sempre con gli occhi del veterano: che cosa manca al nostro basket?

«Due cose: sul piano tecnico, i centri; per linee generali, impianti adeguati. Giochiamo in palasport indecenti».

In un basket che ribalta le squadre, lei, a Sassari dal 2009, sta provando che gli allenatori possono essere un riferiment­o. Un po’ come nel mondo universita­rio Usa.

«L’allenatore deve avere la valigia sempre pronta. Vale anche per me. Ma finché rimango in un posto, voglio scrivere il libro che mi viene dettato dai miei occhi».

Ha commentato lo scudetto con suo figlio Brian?

«Sì. Volevo che mi raccontass­e di quando, lui bambino e io con un ginocchio rotto, disse a mia moglie che lo scudetto come giocatore l’avrebbe vinto lui. L’abbraccio in campo dopo il successo sarà una delle cose indimentic­abili della mia vita».

Portate sulle maglie il volto dei giganti di Mont’e Prama.

«È una pubblicità alla Sardegna, di cui sono un simbolo. Ma forse è anche un modo per dire che anche noi vogliamo diventare dei giganti».

Ha un sogno nel cassetto?

«In realtà no: vivo stagione per stagione, senza esaltarmi ma anche senza abbattermi. Mi piacerebbe guidare il Real Madrid e ancora di più la “mia” Varese: ma per due volte l’ho rifiutata e la terza hanno detto che era colpa mia...».

L’abbraccio con mio figlio Brian dopo il titolo sarà una delle cose indimentic­abili della mia vita

Il mio basket è verticale e mi piacciono i grandi atleti Il massimo è abbinare intelligen­za e fisico

Abbiamo fatto tanti salti in avanti, ora sono finiti: ci tocca diventare una squadra di governo

 ?? (LaPresse) ?? L’abbraccio Meo Sacchetti, 62 anni, abbracciat­o dal figlio Brian, 29, sul parquet di Reggio Emilia dopo la conquista dello scudetto alla guida di Sassari
(LaPresse) L’abbraccio Meo Sacchetti, 62 anni, abbracciat­o dal figlio Brian, 29, sul parquet di Reggio Emilia dopo la conquista dello scudetto alla guida di Sassari

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