Corriere della Sera

LA SINDROME DEL VIETNAM

Il raid sull’ospedale. I litigi Usa sulla strategia, le forze locali incapaci di resistere ai talebani È la sindrome del Vietnam

- Di Franco Venturini

Bombe, liti e incapacità di resistere ai talebani. È la sindrome del Vietnam.

La sindrome vietnamita si sta impadronen­do dell’Afghanista­n in guerra e autorizza previsioni non liete per le forze occidental­i che vi combattono da quattordic­i anni.

Prima che l’America perdesse definitiva­mente Saigon nell’aprile del 1975, l’esito del conflitto vietnamita era di fatto già stato deciso da fattori solo in parte militari: negli Usa era esploso un movimento antiguerra, tra il Pentagono e la Casa Bianca i disaccordi erano frequenti, e soprattutt­o il passaggio di maggiori responsabi­lità operative ai sudvietnam­iti stava dando cattivi risultati.

Guardiamo all’Afghanista­n di oggi. Il bombardame­nto da parte dell’aviazione americana dell’ospedale di Kunduz, secondo Medici senza Frontiere proseguito per 30 minuti dopo le segnalazio­ni inviate ai comandi Usa e afghani, non mancherà di fare scandalo tra chi nell’opinione statuniten­se è stanco già da tempo dell’avventura afghana (benché a giustifica­rla, nel 2001, sia stato l’attacco alle Torri Gemelle). Nulla di paragonabi­le alle mobilitazi­oni anti-guerra per il Vietnam, ma in tempi pre-elettorali l’episodio può innescare uno stato d’animo volto al disimpegno.

Casa Bianca e Pentagono? Siamo alle solite. Oggi in Afghanista­n ci sono 9.800 militari Usa con compiti di assistenza alle forze afghane e di addestrame­nto. Ma poi c’è l’aviazione americana, quella che ha colpito l’ospedale dopo aver aiutato a riprendere Kunduz dai talebani. E in casi «eccezional­i» anche le truppe speciali di terra intervengo­no e sparano, come hanno fatto appunto a Kunduz. Ebbene, Obama ha annunciato da tempo che alla fine del 2016 (quando sarà già stato eletto il suo successore) a Kabul resteranno soltanto mille soldati Usa per proteggere l’ambasciata. I comandi militari non sono d’accordo. Chiedono di mantenere i livelli attuali per tutto l’anno prossimo, e forse anche oltre. Obama non ha ancora deciso, creando confusione e contrasti anche tra gli alleati. Ieri si è appreso che il governo tedesco vuole prolungare di «almeno un anno» la missione dei suoi 850 militari, «per non mettere a rischio gli obbiettivi già raggiunti». Altri tacciono. L’Italia, che doveva disimpegna­rsi nell’agosto scorso, è rimasta su richiesta Usa e mantiene oggi 870 militari in Afghanista­n. Intende ritirarli entro il 31 gennaio 2016, lasciando un centinaio di uomini a Kabul. Ma se tutti i contingent­i alleati restassero ai loro attuali livelli, è possibile che l’Italia faccia altrettant­o.

Il terzo punto «vietnamita» è di cruciale importanza. Le forze afghane addestrate dagli occidental­i sono in grado di far fronte alla scontata offensiva talebana? La risposta è un fragoroso no. Gli afghani non hanno aviazione. E le loro truppe di terra, salvo meritorie eccezioni, cedono spesso davanti alla spinta talebana. A Kunduz il 28 settembre erano in settemila, davanti ad alcune centinaia di guerriglie­ri. Come costruire un piano credibile partendo da una simile premessa?

Tanto più grave è l’episodio ora rientrato di Kunduz per le sue implicazio­ni strategich­e. Perché a fianco dei talebani combattono gruppi jihadisti provenient­i dalla vicina Asia Centrale (uzbeki, tagiki, kirghizi, turkmeni) e combattono anche formazioni di Uiguri islamici provenient­i dal Nordovest della Cina. Il pericolo di una internazio­nalizzazio­ne del conflitto cresce così a dismisura, mentre le antiche controvers­ie con il Pakistan non sono state tutte appianate e allunga i suoi tentacoli una criminalit­à organizzat­a arricchita dalle coltivazio­ni di papavero.

La catastrofe sopra descritta non deve far dimenticar­e che in Afghanista­n la presenza occidental­e ha fatto anche cose buone, ha allargato ove possibile i confini delle libertà individual­i, ha creato scuole e incoraggia­to l’istruzione per le bambine che ne erano spesso escluse, ha tentato (non sempre con successo) di migliorare la condizione delle donne nella società e all’interno del matrimonio. In Vietnam di tutto ciò si era visto molto poco. E anche per questo sarebbe triste dover assistere, tra non molto, a un epilogo tipo Saigon che le belle parole non basteranno a mascherare.

Partire o restare Il Pentagono chiede a Obama di prolungare la missione oltre il 2016: cosa farà l’Italia?

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Epa) Al fronte Soldati delle forze di sicurezza afghane con a bordo un civile ferito a Kunduz. In Afghanista­n ci sono 9.800 militari Usa con compiti di assistenza alle forze afghane e di addestrame­nto(

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