LA CASSA? USIAMOLA PER LE SCUOLE
Inuovi vertici della Cassa Depositi e Prestiti, nominati dal governo nel mese di luglio, si sono insediati e hanno cominciato a lavorare. Sarebbe stato auspicabile (lo scrissi il 14 giugno e poi ancora il 22 giugno) che a questo cambiamento si accompagnasse un progetto, un’idea di quali obiettivi il governo intenda dare alla Cassa, che è la maggiore istituzione finanziaria italiana. Ciò non è accaduto e per il momento sul tavolo dei nuovi amministratori si sono accumulate solo alcune «grane»: fra queste l’Ilva di Taranto e la Saipem, due aziende che per motivi molto diversi hanno dei guai che il ricco portafoglio della Cassa potrebbe aiutare a risolvere.
La Cassa può essere impiegata in due modi. Il primo, quello che sembra si stia delineando, è sfruttare abilmente l’artificio contabile che ha posto la Cassa fuori dal perimetro dei conti pubblici, consentendole di aggirare le regole europee che vietano aiuti dello Stato a imprese in difficoltà. Lo fanno anche Francia e Germania ed è un uso certamente legittimo. Solo, a mio avviso, poco lungimirante. I soldi finiranno prima delle grane da risolvere. Saranno serviti per salvare un certo numero di aziende, alcune che meritavano di essere salvate, altre invece che sarebbe stato meglio chiudere perché ormai incapaci di camminare con le loro gambe. Se va bene, il saldo netto di questi interventi sarà vicino a zero. Più probabilmente, io temo, sarà negativo perché risulterà molto difficile arginare le pressioni politiche per l’utilizzo di questo ricco salvadanaio.
L’alternativa è usare la Cassa per un grande progetto di cambiamento e rinnovamento dell’Italia. Interventi che, diversamente dalla soluzione di qualche grana passeggera e presto scordata, lascino qualcosa per cui i nostri figli e i nostri nipoti ci possano ringraziare.
Perché ad esempio non dare alla Cassa il compito di finanziare la ristrutturazione dei nostri oltre 33.000 edifici scolastici? Il ministro Giannini ha avviato una ricognizione dello stato di salute di questi edifici. Il risultato sarà che un gran numero richiede interventi anche urgenti. Non solo strutturali: le scuole che hanno una moderna sala computer per gli alunni, o anche solo un collegamento a Internet, sono una rarità. Certo, per migliorare la scuola non bastano edifici rinnovati, e non sono neppure la cosa più importante.
Un bravo insegnante apre la testa dei suoi alunni anche in una scuola disastrata; una capra svogliata rimane tale anche in un edificio scintillante. È una questione di regole, non di soldi, e i provvedimenti sulla Buona Scuola hanno finalmente cominciato a smuovere le acque. Ma anche gli spazi sono importanti. Fra cinquant’anni, quando le automobili fatte di acciaio si vedranno solo nei musei, dell’Ilva, per quanto oggi importante, nessuno si ricorderà. Ma chi ha avuto la fortuna di studiare in una di quelle belle scuole costruite nell’Ottocento (sono oltre 1.300 in Italia) ancora ringrazia la lungimiranza dei nostri bisnonni.