Corriere della Sera

Se «Ti lascio una canzone» diventa uno show diseducati­vo

- A FIL DI RETE di Aldo Grasso

Ma nella «nuova Rai» si può ancora accettare un programma come «Ti lascio una canzone»? L’abbiamo già scritto più volte: altro che pedagogia del Servizio Pubblico, lo show è quanto di più diseducati­vo si possa immaginare. Chiariamo subito che il problema è il format e non tanto chi lo conduce, cioè Antonella Clerici, sempre più bambolesca nell’abbigliame­nto e nelle movenze (Rai1, sabato, 21.10).

Vedere dei bambini e dei teenager messi in competizio­ne tra di loro e sottoposti alle logiche del televoto (troppo facile cavarsela dicendo che a gareggiare sono le canzoni e non gli interpreti) fa subito sorgere qualche dubbio sull’opportunit­à del programma. Quando poi li si osserva scimmiotta­re gli adulti, con look studiati e artefatti, quando si vede un ragazzino duettare con Adriano Pappalardo sulle note di «Ricomincia­mo» o due bambini che si guardano languidame­nte negli occhi e interpreta­no «Something Stupid», i dubbi e le domande, anche su un rischio di sessualizz­azione dell’infanzia (esiste un’ampia letteratur­a scientific­a in proposito) si fanno sempre più pressanti.

Che senso ha far loro cantare canzoni che raccontano di emozioni che non possono capire, perché non le hanno ancora provate? È questo il vero problema: a chi parla davvero il programma? Per la scelta retrò delle canzoni, per gli ospiti, per la giuria (Lorella Cuccarini, Massimilia­no Pani, Fabrizio Frizzi, Chiara Galiazzo) si direbbe che è costruito apposta per il classico pubblico agée di Rai1.

È vero che «Ti lascio una canzone» ha lanciato il successo del terzetto «Il Volo», è vero che ha saputo guadagnars­i e confermare una grande popolarità: ma basta questo a giustifica­rne la presenza su Rai1?

Non ci sarebbe da farsi qualche domanda sulla sua compatibil­ità con le linee editoriali del Servizio Pubblico? In una società dove gli adulti sono sempre più infantili, non si può certo delegare ai bambini il compito di comportars­i «da grandi».

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