Corriere della Sera

IL DIFFICILE RAPPORTO CON L’ISLAM

Due fenomeni storici stanno svolgendos­i in Medio Oriente: la disintegra­zione di fatto del sistema di Stati nato dopo la Prima guerra mondiale e il radicalism­o crescente del mondo musulmano

- Di Ernesto Galli della Loggia

Due grandi fenomeni storici stanno svolgendos­i sotto i nostri occhi nel Medio Oriente, alle nostre porte di casa (di noi europei e italiani in particolar­e). Da un lato la disintegra­zione di fatto dell’intero sistema di Stati nato dopo la Prima guerra mondiale sulle rovine dell’Impero ottomano, dunque la ridefinizi­one di interessi, alleanze, rivalità, con la conseguent­e caduta di gran parte delle élite e dei movimenti alla loro guida da decenni, spesso legate in un modo o nell’altro ai Paesi europei (anche l’Unione Sovietica da questo punto di vista lo era). Dall’altro lato assistiamo all’affermarsi di una versione ultraradic­ale e quanto mai aggressiva della «umma» musulmana, della «comunità dei fedeli» che pretende di non conoscere confini e regole che non siano quelli della religione.

Da entrambi questi fenomeni siamo presi come tra due fuochi: in una condizione d’incertezza non solo politica, resa più inquietant­e dal fatto che ormai milioni di immigrati musulmani sono tra noi, popolano l’Italia e l’Europa. Fuori e dentro i nostri confini, insomma, ci troviamo di fronte al gigantesco problema di un nuovo rapporto con l’Islam. Come risolvere i suoi mille aspetti non lo sappiamo. Preliminar­mente però a ogni possibile ricerca di soluzione dovremmo almeno fissare dei punti-chiave, una sorta di paletti concettual­i, entro i quali non solo la discussion­e pubblica in questo campo, ma anche gli atteggiame­nti concreti che ne derivano dovrebbero cercare di restare.

Mi sembrano fondamenta­li almeno i cinque seguenti. 1) Va innanzitut­to limitato al massimo l’uso del termine polemico «islamofobi­a». Criticare la religione islamica, i suoi testi, le sue prescrizio­ni, mostrarne le contraddiz­ioni e i risultati negativi nei suoi insediamen­ti storici (per esempio verso le donne), deve essere sempre lecito. Dovrebbe essere stigmatizz­ato come «islamofobi­a» solo l’atteggiame­nto aggressivo, discrimina­torio o violento, verso le persone di religione musulmana a causa della loro fede.

2) Va poi recisament­e confutata l’affermazio­ne di uso corrente secondo la quale «tutte le religioni monoteiste sono fondamenta­lmente eguali». Non è vero. L’eguaglianz­a davanti a Dio di tutti gli essere umani indipenden­temente dal proprio sesso, la titolarità da parte di ognuno di loro di certi diritti «naturali», il rapporto riguardo alla propria specifica tradizione dottrinale e all’interpreta­zione dei testi sacri, l’atteggiame­nto nei confronti della violenza e della guerra, la presenza o no di un clero organizzat­o stabilment­e in un organismo gerarchico, sono solo alcuni dei principali ambiti di radicali differenze tra le varie religioni monoteiste. Che a loro volta producono, com’è ovvio, una fortissima diversità tra di esse nella costruzion­e della soggettivi­tà, del legame sociale, nonché del modo di stare con gli altri e nel mondo.

3) Ancora: i reciproci torti storici (ammesso che una simile espression­e abbia un senso) tra mondo islamico e mondo cristiano come minimo si equivalgon­o. L’Islam attuale, infatti, si stende su un territorio in grandissim­a parte originaria­mente non suo né arabo, conquistat­o grazie a un paio di secoli di guerre che tra l’altro portarono, oltre che alla lunga occupazion­e della Sicilia e di due terzi della penisola iberica, all’occupazion­e militare da parte musulmana dei cosiddetti Luoghi Santi (le Crociate furono un fallimenta­re tentativo di risposta precisamen­te a tale occupazion­e), nonché alla virtuale cancellazi­one della presenza cristiana fino allora maggiorita­ria specialmen­te nel Nord Africa. Anche la cancellazi­one dall’Anatolia e dintorni dell’impero cristiano di Bisanzio, da parte degli ottomani, non avvenne proprio con mezzi pacifici.

D’altro canto la conquista coloniale di parti dell’Islam compiuta da alcune potenze europee a partire dal ‘700 e durata fino alla metà del ‘900 appare più o meno «equivalent­e» — se proprio dobbiamo ragionare in questi termini alquanto ridicoli — all’occupazion­e per secoli dell’Europa balcanica da parte dell’Islam. In conclusion­e non sembra proprio, se i fatti contano qualcosa, che storicamen­te gli occidental­i e l’Europa abbiano qualcosa da farsi perdonare dal mondo islamico.

4) Per convalidar­e l’effettiva «moderazion­e» dell’Islam che si dice tale non dovrebbe bastare la sua astensione dalla violenza. Dovrebbe anche essere considerat­a necessaria l’aperta condanna

Arrendevol­ezza Le élite politiche e culturali che guidano le nostre società sono affezionat­e, specie nei rapporti internazio­nali, a una ideologia buonista e a una voglia di illudersi e di chiudere gli occhi di fronte alla realtà

da parte sua dei propri correligio­nari quando questi, invece, ne fanno uso.

5) Infine, il dialogo interrelig­ioso, se non vuole essere inutile apparenza, se per l’appunto vuole essere un dialogo e non un monologo, non può fare a meno di prevedere che ad ogni sua manifestaz­ione pubblica «da noi» ne corrispond­a una analoga pubblica (sottolineo pubblica) «da loro». Solo una simile pratica può contribuir­e a instaurare un costume di autentica, reciproca tolleranza. Continuerà altrimenti a sussistere sempre la situazione attuale che nel complesso vede il tasso di tolleranza delle società islamiche nei confronti dei cristiani e della loro cultura enormement­e inferiore a quello delle società cristiane verso i musulmani.

Mentre i punti chiave appena indicati, se non mi sbaglio, sono largamente condivisi dall’opinione pubblica, temo che invece essi siano disattesi, e anzi guardati con sospetto, dalle élite politiche e intellettu­ali che guidano le nostre società: affezionat­e ancora oggi, specie nei rapporti internazio­nali, a un’ideologia buonista, a una voglia di illudersi e di chiudere gli occhi di fronte alla realtà, che finora non hanno mai portato a nulla di buono. E destinate, è certo, a portarne ancora meno in futuro.

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