Il piano europeo per i rimpatri Un punto di svolta?
Forse l’Europa sta per decidere di usare le maniere forti. Il condizionale è sempre d’obbligo alla vigilia di certi summit ma una cosa è certa: per provare a gestire la crisi dei rifugiati, i 28 ministri dell’Interno riuniti oggi a Lussemburgo troveranno sul tavolo la bozza del «piano d’azione per il rientro». È un testo di mediazione diplomatica fra i Paesi della Ue che ha lo scopo di gettare le basi del rimpatrio a breve termine dei migranti «economici» irregolari. Il Times, che ne ha rivelato il testo, parla di 400 mila «deportazioni», ovvero di allontanamento coatto per chi nei primi sei mesi del 2015 si è visto respingere la richiesta d’asilo. La Ue ha smentito il numero ma non la sostanza. Il che significa che la linea della severità è davvero all’ordine del giorno, poco importa (per ora) se riguarda 100 o 200 o 400 mila persone. Conta il contesto entro cui si colloca questa svolta. La nuova filosofia europea, se passerà, è che «tassi crescenti di rimpatri devono agire come deterrente per le migrazioni irregolari». La traduzione in pratica è articolata in diversi punti e prefigura la possibilità di sanzioni per i Paesi che si ostinano a respingere i loro cittadini in fuga. Mentre i Paesi membri della Ue sono vincolati a «mobilitare gli strumenti per migliorare la cooperazione sulla riammissione» ma anche a prendere «tutte le misure per assicurare l’effettivo ritorno dei migranti irregolari, compresa la detenzione». A «facilitare le operazioni di rientro» sarà una unità speciale di Frontex, l’agenzia che coordina i controlli alle frontiere. L’emergenza rifugiati è dunque a un punto di svolta? Il buon senso dice che le migrazioni vanno affrontate con solido pragmatismo, cosa che implica anche i rimpatri, e con progetti coinvolgenti i Paesi poveri da dove i flussi originano. La severità comune non è da scambiare per insensibilità. I controlli e gli interventi sono necessari. Ma trasformare la severità in «deportazione» di massa immediata e senza regole è pericoloso. È giusto che l’Europa mandi un messaggio di unità politica e di chiarezza operativa. Non che lo faccia, con metodologie burocratiche barbare, ascoltando le sirene dei populismi xenofobi. Comunque sarà un’operazione dolorosa.