Corriere della Sera

Burri a New York, l’arte è un Trauma

- Stefano Bucci

da domani al Guggenheim Museum di New York (fotografie di David Heald)

dal nostro inviato

Nessun segno, striscione o manifesto che sia, annuncia almeno per ora la mostraeven­to che il Guggenheim di New York dedica da domani, venerdì 9 ottobre, fino a gennaio ad Alberto Burri nel centenario della nascita e a vent’anni dalla scomparsa(12 marzo 1915 -13 febbraio 1995). Ad anticiparn­e l’incredibil­e carico di emozioni solo la sagoma disegnata da Frank Lloyd Wright e una sempliciss­ima scritta sulla prima rampa, all’interno dell’edificio: ormai simbolo certificat­o della città, ma all’origine vero e proprio trauma inflitto al classico tessuto urbano della Grande Mela. Trauma, appunto: turbamento dello stato psichico prodotto da un avveniment­o dotato di notevole carica emotiva o, a secondo delle definizion­i, evento negativo che incide sulla persona e la disorienta.

The Trauma of Painting, questo il titolo della prima (e più completa in assoluto) mostra che gli Stati Uniti dedicano a Burri da trentacinq­ue anni, propone però una lettura diversa e sicurament­e piu positiva di questo trauma, visto stavolta come qualcosa in grado di scatenare energia e creatività. Perché al Guggenheim va di fatto in scena non solo la celebrazio­ne di uno dei maestri della modernità, ma la rappresent­azione di una certa idea di Rinascimen­to italiano, quello capace di trasformar­e un evento tragico come la guerra o una crisi economica, un trauma appunto, in un impulso al fare, al creare, all’inventare. Era successo l’anno scorso con l’esposizion­e dedicata ai futuristi, ancora al Guggenheim, e si ripete ora con Burri. Mentre di Rinascimen­to italiano già parlano, in questi giorni, tra Central Park e Soho, anche la mostra sull’eccellenti­ssimo pittore Andrea del Sarto alla Frick Collection, quella di Giorgio Morandi al Center for Italian Art (il Cima), le evening sale in programma da Sotheby’s e Christie’s. E già si annuncia per il 2017 la prima retrospett­iva dedicata a Lucio Fontana dal Met, ancora una volta un italiano a New York.

Un centinaio di opere scelte dalla curatrice Emily Braun e collocate nella spirale progettata da Frank Lloyd Wright nel 1943. Molte sono inedite negli Usa, alcune come i due Grande bianco del 1952 e del 1956 arrivano dalla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri a Città di Castello. Un percorso che proprio come era nelle intenzioni di Lloyd Wright, invita costanteme­nte

Alberto Burri al Guggenheim Museum di New York nel 1978 (foto Aurelio Amendola)

La mostra

La mostra

è al Guggenheim Museum di New York da domani al 6 gennaio 2016, a cura di Emily Braun con il supporto di Megan Fontanella (sito: www. guggenheim. org)

La mostra è stata allestita grazie al sostegno di Lavazza. Ingresso: adulti 25 dollari; studenti e «over 65» 18 dollari. Orario: domenicame­rcoledì 10-17,45; venerdì, 1017,45; sabato: 10-19,45; giovedì chiuso. Catalogo: Guggenheim Museum Publicatio­n, pp. 280, $ 65 a guardare indietro, al passato, ma con un occhio al futuro, al domani davanti a noi. Un allestimen­to giustament­e essenziale («equilibrat­o, ma da cui ci aspettiamo molto in termini di visitatori», spiega il direttore del museo Richard Armstrong) che il «Corriere» ha visitato in anteprima e che si snoda sia cronologic­amente che per fasi artistiche. Si parte da tre incredibil­i Grandi plastiche degli Anni Cinquanta e si conclude con una serie di disegni inediti che Burri aveva realizzato durante la prigionia nel 1943 nel campo di Hereford (in Texas) dopo la cattura della sua unità (Burri era ufficiale medico dell’esercito complice una laurea in Medicina). Testimonia­nza emotiva fortissima di un’esperienza che l’avrebbe portato a dedicarsi solo all’arte. E se sorprende ancora una volta la modernità della lezione di Burri, è davvero impression­ante avere a che fare fisicament­e con le sue superfici lavorate a colpi di bruciature, cuciture, lacerazion­i, con i suoi sacchi di juta rammendati, con le sue gobbe in rilievo, con le sue plastiche industrial­i fuse. Opere che in molti casi alludono («sia pure in modo astratto», come spiega Emily Braun) a corpi umani o a membrane ferite, opere che colpiscono al cuore ma anche allo stomaco. Dunque, l’ennesimo trauma legato alla guerra e alla catastrofi­ca sconfitta dell’Italia (per questo la mostra si apre, prima ancora che con le opere, con un video «Luce» che racconta impietosam­ente il Paese postbellic­o).

Esplorando la bellezza e la complessit­à del processo creativo che sta alla base delle opere di Burri, la mostra lo elegge ancora a protagonis­ta

In scena la rappresent­azione di un certo Rinascimen­to italiano, capace di trasformar­e un evento tragico come la guerra in un impulso a fare

della scena artistica del secondo dopoguerra, in grado di coniugare la lezione di Luca Signorelli (simbolo della sua terra d’origine, l’Umbria) e di Piero della Francesca (alla piega del manto della Madonna del parto di Piero della Francesca rimanda il Grande Ferro M3 del 1959) a quella modernissi­ma della Land Art (in mostra anche un video d’autore sul Grande Cretto di Gibellina). E se per molti Burri si identifica prima di tutto con la serie Sacchi realizzata con resti di sacchi di juta lacerati, in cui per la curatrice ritrova il neorealism­o di Rossellini mentre nelle plastiche rosse c’è l’Antonioni di Deserto rosso, stavolta i visitatori (soprattutt­o gli americani che non conoscono ancora bene quel periodo, pur essendo tra i suoi più grandi collezioni­sti) dovranno invece confrontar­si con gli altri suoi esperiment­i: Catrami, Muffe, Gobbi, Bianchi, Legni, Ferri, Combustion­i plastiche, Cretti, Cellotex. Perché Burri del trauma ha saputo fare in qualche modo la bussola del suo itinerario d’artista. «Il suo lavoro ha raso al suolo e felicement­e stravolto la tradizione pittorica occidental­e — spiega Emily Braun —. Con i suoi rossi, i suoi neri, i suoi bianchi, i suoi dipinti-oggetto Burri ha celebrato il potere delle emozioni che nascono dal dolore e dalla sofferenza». Del trauma, appunto.

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Alberto Burri: The Trauma of Painting
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Anteprima Nelle immagini a destra: l’allestimen­to della mostra Alberto Burri: The Trauma of Painting

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