Corriere della Sera

Quella sfida ai sindacati che riguarda anche il capitale

Sviluppi La fase che si è aperta contiene l’opportunit­à di riformular­e la pratica della rappresent­anza e di metterla in sintonia con i mutamenti, ma anche il rischio di restare a metà del guado con aziende scettiche e il sindacato più ostile

- Di Dario Di Vico

Aqualche mese dal suo avvicendam­ento il leader di Confindust­ria Squinzi si trova a gestire una fase di straordina­ria discontinu­ità con opportunit­à e rischi. L’opportunit­à è di riformular­e la pratica della rappresent­anza delle imprese e di metterla in sintonia con i mutamenti dell’economia post-crisi; il rischio è di rimanere a metà del guado con imprese scettiche e sindacato ancor più ostile. La questione chiave è che quello che una volta era il monopolio sindacale della tutela del lavoro oggi è diventato uno spazio contendibi­le.

In teoria l’ultimo scorcio di una presidenza dovrebbe rappresent­are per la Confindust­ria una stagione di ordinaria navigazion­e e, invece, a qualche mese dal suo avvicendam­ento Giorgio Squinzi si trova a gestire una fase di straordina­ria discontinu­ità. Che, come è scontato che sia, contiene opportunit­à e rischi. L’opportunit­à è quella di riformular­e la pratica della rappresent­anza delle imprese e di metterla in sintonia con i mutamenti dell’economia postcrisi, il rischio è di rimanere a metà del guado con imprese scettiche e sindacato ancor più ostile. A spingere il gruppo dirigente confindust­riale sulla strada della discontinu­ità è stato, sul piano della cronaca spicciola, l’atteggiame­nto irriducibi­le della coppia Barbagallo-Camusso ma se guardiamo alla sostanza dei problemi troviamo alla radice della svolta una certa insoddisfa­zione verso il tran tran, cresciuta in questi anni nelle associazio­ni territoria­li più vivaci, in parallelo alla volontà di interpreta­re il sentimento delle aziende-lepri. Quelle che corrono per il mondo e potrebbero maturare l’idea dell’inutilità della rappresent­anza. Quindi voler leggere le ultime mosse di Squinzi con la vecchia metafora della colomba diventata falco — per di più in zona Cesarini — è riduttivo, in gioco c’è un potenziale salto di qualità della cultura associativ­a d’impresa. Che non può essere più quella di sette anni fa, la Grande Crisi se ha cambiato molti dei meccanismi di funzioname­nto dell’economia reale non poteva, infatti, lasciare inalterata la rappresent­anza.

Un dirigente sindacale leggendo queste parole potrà obiettare che non ci dovrebbe essere bisogno di passare da un azzerament­o seppur temporaneo del rapporto con Cgil-Cisl-Uil per costruire un associazio­nismo di qualità. E invece, nella situazione data, è proprio così ma non per colpa degli industrial­i. La verità è che quello che una volta era il monopolio sindacale della tutela del lavoro oggi è diventato uno spazio contendibi­le. Nelle aziende globali è l’imprendito­re a farsi avanti e a sfidare Cgil-Cisl-Uil, tra i facchini della logistica sono i Cobas, nel terziario metropolit­ano delle partite Iva è la Rete. In questa grande trasformaz­ione dell’economia e del lavoro sarebbe un guaio se gli industrial­i restassero con le mani in mano, caso mai sarebbe auspicabil­e che anche i sindacati dessero prova di altrettant­o coraggio e volontà di innovazio- ne. Quando conoscerem­o il decalogo delle regole che Squinzi ha annunciato potremo valutare con maggiore precisione quanto la Confindust­ria sia cosciente di ciò che le sta accadendo intorno e quali sono i percorsi che propone, è chiaro comunque che allontanar­e la contrattaz­ione da Roma e portarla più vicino al mercato e alle persone è una conditio sine qua non per tentare di armonizzar­e rappresent­anza ed economia post-crisi.

Francament­e non credo, come pure è stato scritto, che Squinzi stia facendo tutto questo per portare acqua al mulino di Matteo Renzi. Penso che in Confindust­ria ci si sia resi conto da tempo che il premier ha messo nel mirino i corpi intermedi (anche) per ampliare la tradiziona­le constituen­cy elettorale del centrosini­stra e di conseguenz­a si sia maturata in Viale dell’Astronomia la convinzion­e che star fermi sarebbe, quella sì, una scelta complice. Con rappresent­anze giurassich­e la comunicazi­one guizzante del premier va, e andrebbe ancora per lungo tempo, a nozze.

Mettendo in discussion­e le vecchie relazioni industrial­i Squinzi però deve sapere che si genera un effetto-domino su altri capitoli del rapporto tra la rappresent­anza e gli associati. Prendiamo, ad esempio, un tema altrettant­o cruciale: la dimensione delle imprese. E’ possibile continuare a sottovalut­are come questo sia uno dei passaggi ineludibil­i per rimettere in corsa il sistema-Italia nella competizio­ne globale? Un’associazio­ne meno concentrat­a sulla gestione dei contratti nazionali di lavoro dovrà giocoforza fornire nuovi servizi ai suoi iscritti e non potrà che individuar­e come prioritari di questa fase quelli destinati a favorire la crescita.

Si potrà non amare la Borsa ma l’apertura dell’azionariat­o, con gli strumenti più vari, è una scelta che non si può rinviare per troppo tempo. Luigi Zingales tempo fa ne parlò come «l’articolo 18 del capitale» e continua a sembrarmi una sintesi efficace.

Pericoli Mettendo in discussion­e le vecchie relazioni si può creare un effetto-domino Dimensioni Un’associazio­ne meno concentrat­a sui contratti dovrà fornire nuovi servizi agli iscritti

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