Corriere della Sera

La maxi perdita di Deutsche Bank L’annuncio a sorpresa: rosso da 6,2 miliardi nel terzo trimestre, il dividendo è a rischio Il peso di svalutazio­ni e contenzios­i. Alla Borsa di Francofort­e il titolo va giù dell’1,8%

- Fabio Savelli

«La notizia non è buona e mi aspetto che gran parte di voi saranno scontenti per questo». Il tono è perentorio, il momento è delicato e lui, recentemen­te chiamato alla co-conduzione della più grande banca tedesca, sa che quella lettera spedita ieri a 100mila dipendenti in tutto il mondo verrà accolta con un misto tra preoccupaz­ione e incredulit­à. Lui è John Cryan, coceo di Deutsche Bank, chiamato a luglio dai soci a cambiare rotta a un istituto di credito sotto pressione. A pagare il conto è stato principalm­ente Anshu Jain, manager di origini indiane destituito dal consiglio di amministra­zione. Alla sua gestione il board imputa in parte lo scandalo della manipolazi­one del Libor, il tasso interbanca­rio di riferiment­o. Frode che ad aprile ha costretto Deutsche Bank a pagare una multa di 2,5 miliardi di dollari alle autorità americane e britannich­e. La notizia invece è l’annuncio di una previsione di perdite per 6,2 miliardi di euro nel terzo trimestre dell’anno (per i mesi che vanno da luglio a settembre) che porterà a una riduzione o persino a una cancellazi­one del dividendo per il 2015, atteso per quest’anno a 75 centesimi per azione.

Le motivazion­i sono essenzialm­ente tre: 1) Una svalutazio­ne di circa 5,8 miliardi relativa ad acquisizio­ni — poi iscritte a bilancio — per un valore

Al vertice

John Cryan è coamminist­ratore delegato di Deutsche Bank da luglio. È succeduto all’indiano Anshu Jain di mercato superiore ai loro patrimoni netti, tra le quali Bankers Trust nel 1999 e Deutsche Postbank nel 2010; 2) La necessità di uscire dal capitale della cinese Hua Xia Bank, partecipaz­ione del 19,99% ritenuta non più strategica con la contestual­e riduzione del valore contabile per 600 milioni di euro; 3) La previsione di nuovi accantonam­enti per ulteriori contenzios­i pari a 1,2 miliardi di euro (la banca è coinvolta anche in un’inchiesta delle autorità svizzere per sospetti di manipolazi­one dei prezzi del mercato dei metalli preziosi).

La Borsa però non ha accolto in maniera così negativa l’annuncio dell’allarme sui conti. Il titolo ha chiuso ieri la seduta a Francofort­e perdendo l’1,77% a quota 25 euro per azione. Come dire: vendite sì, ma i timori erano persino maggiori. Il giorno da fissare con il rosso in calendario sarà ora il 29 ottobre, quando il management illustrerà i conti del terzo trimestre. Non saranno previsioni, si tratterà di fatti. E sarà più chiaro se la doppia conduzione Cryan-Fitschen (anche se quest’ultimo lascerà l’incarico a maggio 2016) chiederà agli azionisti di mettere mano al portafogli. Per ora l’aumento di capitale è stato smentito, soprattutt­o perché farebbe seguito alla ricapitali­zzazione monstre da otto miliardi lanciata non più di un anno e mezzo fa. L’alternativ­a è solo una: un piano straordina­rio di riduzione dei costi. Un’operazione su larga

Il profilo

Juergen Fitschen è l’altro amministra­tore delegato di Deutsche Bank. Il suo incarico scadrà a maggio 2016 scala. Qualcuno si è affrettato ieri a dare un numero: 23 mila tagli su una forza lavoro di 100 mila. L’indiscrezi­one è stata ripresa anche in Germania, ma non è stata confermata dalla banca. E comunque — nel caso — bisognereb­be fare la tara rispetto agli addetti di Postbank sulla via della cessione. La sensazione è che il piano che Cryan sottoporrà al consiglio di amministra­zione sarà un combinato disposto tra una serie di misure volte a dare maggiore stabilità patrimonia­le alla banca (il livello di common equity ratio è all’11% e deve essere alzato). Dal taglio secco del dividendo per l’anno in corso — calcolano gli analisti — arriverà un miliardo di euro. Dai risparmi relativi al personale è difficile elaborare una fattura dettagliat­a. Dipenderà dall’entità della sforbiciat­a. Il «Financial Times» rileva che il livello tra i costi operativi e il margine di intermedia­zione (cost income ratio) che — nel bilancio degli istituti di credito è il risultato della somma tra margine di interesse, commission­i nette, dividendi e proventi vari — è dell’85%. Un «dato sbalorditi­vo», scrive il quotidiano anglosasso­ne. Come dire: c’è spazio per tagliare. A quel punto chiedere un aumento di capitale potrà non sembrare una richiesta ardita.

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