«Più disavanzo? Il peso ricadrà sulle nuove generazioni»
In questi mesi le energie di Mario Monti sono assorbite dal «gruppo di alto livello» dell’Unione Europea, che presiede, incaricato di proporre nuovi canali autonomi di finanziamento del bilancio comunitario. Ma l’ex premier non è così preso dal suo mandato da non accorgersi che nell’area euro — e in Italia — i bilanci nazionali sono sempre più spesso fondati sull’indebitamento. O, per dirla nelle sue parole, sul fatto che «i governi cercano di comprare i voti degli elettori di oggi con soldi sottratti ai cittadini di domani».
Italia, Francia e Spagna di fatto non osservano il patto di Stabilità e il « fiscal compact » . Queste regole non stanno proprio funzionando, non trova?
«In Europa c’è grande discussione sul mix fra regole e flessibilità. La Commissione Juncker dallo scorso gennaio ha deciso di applicare le regole sui bilanci degli Stati con maggiore flessibilità. E ora gli Stati fanno a gara su chi ne ottiene di più. Il rischio è che ad ogni applicazione ai vari Stati, la credibilità della Commissione come arbitro si riduca un po’, perché c’è un maggiore ricorso alla discrezionalità. Occorre che la Ue si dia regole fiscali più corrette dal punto di vista economico, soprattutto riconoscendo chiaramente i meriti della spesa pubblica che va in investimenti pubblici seri e produttivi, da definirsi con rigore; e allora ci sarà meno bisogno di ricorrere ad una flessibilità malcerta e poco obiettiva».
Non le viene il sospetto che l’eccesso di sacrifici imposti nel 2011-2013 produca oggi questa reazione opposta?
« In parte è così. Dopo la stretta della fase 2011-2013, senza la quale peraltro l’euro difficilmente sarebbe sopravvissuto e l’Italia sarebbe probabilmente uscita dall’eurozona, è diventato più difficile mantenere il consenso dei popoli europei a politiche di disciplina di bilancio, che pure non erano ingiustificate dopo decenni di spesa in deficit. Furono scelte dure. Eppure senza quell’impegno così duro le difficoltà si sarebbero fatte ancora maggiori. E certo non avremmo potuto convincere i Paesi del Nord ad accettare l’idea di uno scudo antispread per i Paesi che si impegnavano sul bilancio e sulle riforme. Questo poi ha aperto la strada all’azione della Bce di Mario Draghi, di cui l’eurozona e anche l’Italia hanno molto beneficiato».
Ora però il governo Renzi sta cancellando alcune delle sue riforme.
«Non c’è a priori un motivo per cui un governo nel 2015 debba aderire alle scelte di un governo nato nel 2011, in condizioni ben più gravi».
Vale anche per la gran voglia di smontare la riforma delle pensioni?
«Sulle pensioni, rispetto alle spinte da parti del mondo politico e sindacale, direi che il governo Renzi ha ben difeso il quadro attuale. Nel complesso ha molto ridimensionato le richieste, con marginali variazioni che rispettano il principio di non imporre costi ulteriori al bilancio pubblico. Non dimentichiamo che la riforma delle pensioni, che dobbiamo alla tanto vituperata Elsa Fornero, è stato il fattore che più di ogni altro ha consentito la sopravvivenza finanziaria del Paese».
Ha lo stesso giudizio positivo anche sull’abolizione di Tasi e Imu sulla prima casa?
«No. È una scelta sbagliata dal punto di vista della crescita e dell’equità sociale. È la scelta perfetta dal punto di vista del consenso. Il giudizio economico è quasi unanime, da parte delle istituzioni internazionali, della Banca d’Italia, degli economisti. In Italia c’è un grandissimo debito pubblico e una grandissima ricchezza privata, al punto che periodicamente si è parlato di una tassa patrimoniale. Questa misura della legge di Stabilità toglie un pezzo di patrimoniale che c’era, e c’è nella gran parte degli altri Paesi».
Renzi ricorda che da noi gran parte delle famiglie vive in case di proprietà.
«Non è un argomento convincente: se la proprietà immobiliare è così diffusa, allora il gettito è rilevante e dunque non si vede perché rinunciare. Sarebbe meglio tassare un po’ di più il patrimonio, in modo che ciò consenta di tassare meno il reddito e di ridurre il cuneo fiscale, un’opzione che economicamente ha molto più senso. È però la scelta perfetta per guadagnare consenso. Proprio perché i beneficiari sono molto numerosi e ognuno sa calcolare esattamente quanto pagherà in meno. Ridurre il cuneo fiscale sul lavoro ha effetti più positivi per la crescita, ma genera meno consenso proprio perché sono in gran parte i suoi effetti indiretti a rendere l’economia più competitiva, più capace di creare lavoro anche per i giovani. Ma i moltissimi che ne beneficiano non colgono così chiaramente a chi devono essere grati, al momento del voto o del sondaggio. Ed è vero che l’edilizia è importante in Italia. Ma gli studi mostrano che la sua crisi era iniziata ben prima che venisse messa la tassa sulla prima casa».
Secondo lei l’obiettivo della manovra è il sostegno dell’impresa o il rilancio dei consumi?
«Come mostra il pacato e lucido articolo di Guido Tabellini nel Sole 24 Ore di ieri (“Il prezzo pagato al consenso a breve”), questa legge di Stabilità rivela che “oggi l’obiettivo prioritario del governo è consolidare il consenso. Il rientro dal debito, invece, può aspettare. Le decisioni difficili sulle coperture sono rimandate al futuro. È facile prevedere che gli obiettivi di disavanzo e di rientro dal debito saranno mancati, a meno di non essere di nuovo costretti a rispettarli dall’emergenza finanziaria”. C’è un sapore di ritorno all’antico, si torna a fare una politica economica che cerca di comprare il voto degli elettori di oggi con i soldi dei cittadini di domani».
Però Renzi sembra quasi impaziente di ingaggiare l’Europa in duello, non trova?
«Si vede bene la convenienza politica di impostare una “battaglia” con l’Europa. Spero che gli italiani abbiano chiara la posta in gioco: se il governo portasse l’Italia alla “vittoria”, nel senso di ottenere — anzi “imporre agli eurocrati” — tutta la flessibilità che chiede, non sarebbe una vittoria per il Paese. Non ci sarebbe alcuna risorsa in più dall’Europa all’Italia, o in meno dall’Italia all’Europa. Si tratterebbe solo di un’autorizzazione ottenuta dall’Europa perché lo Stato italiano possa avere un disavanzo un po’ maggiore ; possa, in altri termini, essere un po’ meno rispettoso verso i cittadini italiani di domani. Non dimentichiamo che la disoccupazione giovanile di oggi è in gran parte il frutto delle politiche del debito degli anni 70 e 80. Sui giovani di oggi sono ricaduti gli oneri di allora. Vogliamo ripeterci? Gli italiani che hanno a cuore il futuro dei loro figli devono sperare che l’Ue svolga fino in fondo il proprio ruolo di sorveglianza».
Come giudica l’impostazione generale della politica economica del governo?
«A me è molto piaciuto il Renzi iniziale, quello delle riforme strutturali — quelle economiche, mentre ho molte riserve sulle riforme istituzionali — condotte con coraggio e per il futuro dell’Italia. Vedo con preoccupazione lo smorzarsi questo impulso e il subentrare di due componenti : la convinzione che l’esborso di denaro pubblico favorisca la crescita, una visione un po’ arcaica della sinistra; e l’assecondamento degli animal spirits imprenditoriali più con la rimozione di tasse e di regole che con l’introduzione dello stimolo di una forte e rigorosa concorrenza e di effettive liberalizzazioni; una visione conservatrice, più che liberale».
C’è un sapore di ritorno all’antico in politica economica: si comprano i voti di oggi con i soldi di domani
Mi sono piaciute le riforme economiche iniziali del governo, è un bene aver difeso la riforma delle pensioni