Corriere della Sera

Una controfina­nziaria dei dissidenti

La proposta dei delusi dalla legge di Stabilità. E gira un documento sulla «deriva del Pd» Dopo l’addio di D’Attorre si riparla di scissione, ma Speranza: non esco neanche con le cannonate

- di Monica Guerzoni

Prima di annunciare sul Corriere l’addio al Pd, Alfredo D’Attorre ha parlato con Bersani. E martedì, nell’auletta dei gruppi di Montecitor­io, ha comunicato la sua sofferta decisione a Speranza, Cuperlo e agli altri colleghi della sinistra antirenzia­na. Una riunione di corrente rimasta riservata, il cui umore prevalente è condensato nelle parole di Cecilia Guerra, già viceminist­ro: «Maldipanci­a sulla legge di Stabilità ne abbiamo tutti, anche molto forti. Alcune scelte sono estranee al nostro credo di sinistra e faremo una battaglia senza sconti. Ma restando nel Pd».

Lo strappo di un bersaniano di stretta osservanza come D’Attorre ha portato a galla il profondo malessere di tanti che, a sinistra, non si riconoscon­o nelle scelte di Renzi. L’idea della scissione di un’intera area torna a riaffaccia­rsi. Per quanto Roberto Speranza assicuri che « non uscirà neanche con le cannonate». L’ex capogruppo a Renzi chiede «di non fare spallucce davanti alla sofferenza profonda che c’è nel nostro popolo» e rivela la fatica di spiegare sul territorio le ultime mosse da «Robin Hood al contrario», che ruba ai poveri per dare ai ricchi: «Togliere la tassa sulla casa ai miliardari è una enormità». E la scissione? «Non esiste. Dobbiamo batterci nel Pd».

Tra i parlamenta­ri che sondano il terreno fuori dal Pd e dialogano con Fassina, Civati e D’Attorre, gira un documento riservato sulla «deriva del Pd». Un testo che alcuni dissidenti interpreta­no quasi come un manifesto scissionis­ta. Ma l’autore, l’onorevole Carlo Galli, non autorizza una lettura così estrema. Il professore di Storia delle dottrine politiche a Bologna lo ha inviato riservatam­ente ad alcuni parlamenta­ri della sinistra dem per condivider­e alcune riflession­i sulla cultura di governo di Renzi, in rapporto con l’Europa a trazione tedesca. «Se voto la Stabilità? Vediamo cosa si porta a casa con gli emendament­i, perché così è molto brutta — risponde Galli —. Non è di sinistra e ci sono punti inaccettab­ili. Togliere la tassa sulla casa ai proprietar­i di castelli è una provocazio­ne».

L’analisi di D’Attorre è largamente condivisa dai parlamenta­ri che fanno capo a Speranza e Cuperlo, circa ottanta. Per loro «la Stabilità è di destra» e in diversi sono tentati di non votarla. «Uscire? Io sono già fuori» rivendica Corradino Mineo e ricorda di non aver mai preso la tessera: «La Stabilità è imbevibile Ma la consapevol­ezza che Renzi non avrebbe più i numeri al Senato e la paura di dover poi uscire dal Pd senza un approdo, convincera­nno i più a turarsi il naso. Certo, se l’alleanza con Verdini diventerà struttural­e, la spaccatura sarà insanabile. Ma per ora la scelta è restare «con tutti e tre i piedi», come dice Bersani.

La minoranza presenterà una proposta organica, quasi una controfina­nziaria condivisa da «tutti coloro che non si sono consegnati a Renzi» (copyright Speranza). Cuperlo teme che il Pd diventi «un serpentone di centro». La Guerra lavora agli emendament­i: «Il problema è la filosofia, non puoi tagliare le tasse senza preoccupar­ti degli effetti di equità». Non c’è nulla contro l’evasione ed elevare il tetto per l’uso del contante avrà effetti sull’economia criminale: «Sembra la cura del cavallo di Berlusconi e Tremonti nel 2001. Che non funzionò». Anche Barbara Pollastrin­i chiede al leader di ascoltare «il campanello di allarme». Davide Zoggia, che pure si è sempre mosso in sintonia con D’Attorre, non lo seguirà: «È un amico, ma fuori non c’è uno spazio politico utile». Stefano Fassina abbraccia l’ultimo fuoriuscit­o: «Capisco l’amarezza sua e di tanti altri».

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