Corriere della Sera

Il caso Bologna e le strade parallele di politica e giustizia

- Di Marco Ascione

Ifatti sono questi. L’8 luglio del 2014 Vasco Errani, amministra­tore di punta del partito democratic­o, si dimette da presidente della Regione Emilia-Romagna, dopo 15 anni di regno, a causa di una condanna in appello per falso ideologico. Verdetto preceduto da un’assoluzion­e in primo grado. L’accusa ruota attorno alla concession­e di un milione di euro da parte della Regione alla cooperativ­a Terremerse, presieduta dal fratello Giovanni. Il partito insiste: «Resta». Ma Errani, che sa essere una sfinge, non si flette.

Nell’imbarazzo del Nazareno si candidano per la poltrona più importante d’Emilia due renziani, uno lo è diventato per strada, l’altro è di lungo corso: Stefano Bonaccini e Matteo Richetti. A fine agosto, a neppure tre mesi dalle elezioni e a primarie non ancora celebrate, filtrano le prime indiscrezi­oni: entrambi vengono risucchiat­i nel vortice di un’altra inchiesta, quella sulle cosiddette spese pazze dei consiglier­i regionali. Entrambi sono indagati per peculato. Entrambi chiedono di essere ascoltati subito in Procura. Ma solo uno, Bonaccini, convince appieno il pm che archivia la sua posizione. Quindi: lui resta in pista, l’altro, dopo giorni di tormento, esce di scena. E a lungo rimarrà in zona d’ombra. Si vota: Bonaccini vince, ma il vento dell’antipoliti­ca soffia come mai prima e anche nella rossa Emilia in pochi vanno alle urne (un vergognoso 38%).

Giugno di quest’anno. La Cassazione annulla la condanna di Errani e ordina di rifare il processo d’appello.

15 ottobre, tre giorni fa: la Procura chiede di assolvere Richetti.

Qual è la morale? I pm hanno fatto ciò che dovevano. Fatto sta che le due inchieste, per questi protagonis­ti, si sono chiuse finora con un nulla di fatto (per molti altri consiglier­i regionali è stata chiesta la condanna). Ma non per questo non ci sono state conseguenz­e. È accaduto ora a sinistra, è accaduto altre volte a destra. Non è questione di colore. Ma forse bisognereb­be interrogar­si più spesso sui tempi della giustizia e quelli della vita reale.

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