Corriere della Sera

La base tra i post-it dello scontento e gli autografi dei parlamenta­ri

Gli ortodossi dell’«uno vale uno» contro i pragmatici

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con quello datato 4 ottobre 2009, giorno di battesimo del movimento al teatro Smeraldo di Milano. Dopo non c’è più niente, come se allora fosse cominciata un’altra storia che lentamente sta marginaliz­zando le strutture che custodisco­no lo spirito originario di M5S. « Qualcosa di sicuro è cambiato quando i nostri cittadini in Parlamento sono venuti a contatto con le istituzion­i», dice Raffaele, responsabi­le di un Meet Up di Cesena, nel gazebo approdo solo di militanti in cerca di una sedia per riposarsi. «Ma per noi fedelissim­i della prima ora non si tratta di un processo indolore. E siamo pur sempre la base di questa struttura».

La visita di Roberto Fico, membro del direttorio, diventa ben presto un confronto tra due idee di movimento che faticano a trovare una sintonia. I militanti di base fanno domande intrise di frustrazio­ne al responsabi­le organizzat­ivo di M5S. Perché comanda solo Milano, nel senso di Casaleggio& Associati? Perché non possiamo usare il simbolo del movimento? Perché non dite niente quando i nostri consiglier­i comunali ci scavalcano? A un certo punto Fico perde la pazienza e parte con la ramanzina diretta ai reprobi. «Se non impariamo a essere più accoglient­i, ad ascoltarci, a lavorare bene insieme, a fare dei progetti, non andiamo da nessuna parte. Può essere anche che non siamo ancora pronti, però ci stiamo provando».

Gli ortodossi dell’uno vale L’iniziativa Beppe Grillo e Gianrobert­o Casaleggio ieri sul palco di Imola; sotto tre sostenitri­ci del Movimento 5 Stelle e in basso Luigi Di Maio mentre firma uno striscione uno non riescono a mandare giù la personaliz­zazione della politica pentastell­ata e il passaggio dal movimento di lotta a quello di governo, o aspirante tale. «Noi vogliamo ritornare a un meccanismo di partecipaz­ione distante dalle bande di potere degli altri partiti», dice più tardi un Fico più conciliant­e. «Se i Meet Up realizzano la società che vogliamo essere, non hanno bisogno di candidati o facce che li rappresent­ano. M5S non può esistere senza i Meet Up». La sintesi tra le origini e il presente dei Cinque Stelle si rivela un precario esercizio di equilibris­mo. Nella piazza dell’autodromo, la gente sciama da una vedette all’altra. «Di Maio, è arrivato Di Maio», e si gettano sull’astro nascente napoletano, mentre a pochi metri di distanza Casaleggio regala un contentino ai puri e duri dicendo che la sua candidatur­a a futuro primo ministro non è certa, anzi. Raffaele, il puro e duro di Cesena, esce dal gazebo dei Meet up per esporre le sue ragioni a un gruppo di militanti donne. Mentre parla e gesticola, all’improvviso arriva Alessandro Di Battista, che subito viene sommerso da militanti in adorazione che lo sottopongo­no al rito dei selfie, con mogli, mariti, bambini in carrozzell­a. Riccardo resta solo, con il dito puntato a mezz’aria.

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