Corriere della Sera

L’importanza delle basi americane

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Per due volte nella rubrica di Sergio Romano, è stato citato un mio scritto, lasciando intendere, forse, una cosa che non ho detto e che non penso: chiudere o depotenzia­re le basi Usa in Italia. Chiedo di chiarire il mio pensiero. Come italiano e come militare, sono a favore delle basi (antiche, come Aviano e Sigonella, o nuove, come il Muos). Le considero preziose nell’attuale lotta al terrorismo che destabiliz­za anche il Mediterran­eo sul quale l’Italia si affaccia. Ciò che ho scritto è che è opportuno aggiornare gli accordi che ne disciplina­no le attività. Le regole risalgono al 1954, quando c’era la Guerra Fredda, l’Italia non faceva parte dell’Onu e non esisteva neppure la Comunità Economica Europea. (Per inciso: l’ambasciato­re Romano era da poco laureato, io e l’ambasciato­re Usa Phillips facevamo le medie; Renzi, il ministro Pinotti e molti lettori non erano ancora nati.) Sigonella (1985), l’incidente del Cermis (1998) e il rapimento di Abu Omar (2003) mostrano come, ricorrente­mente, gli americani scordino che le basi sono in tutto e per tutto territorio italiano. In questi casi di alto profilo, le basi furono usate per obiettivi esclusivam­ente statuniten­si. Bisogna quindi che i comandanti delle basi possano esercitare per conto dello Stato italiano un pieno controllo delle attività svolte dall’alleato/ospite, compresi i controlli di frontiera e doganali. Si assicurerà così che l’attività non diverga dagli interessi generali italiani. Il mio pensiero autentico è quindi «Più regole, più basi», anche perché temo molto che qualche demagogo possa tradurre le «poche regole» nello slogan «meno basi». Spero che il tema sia già all’attenzione del governo, perché solo così tutti accetteran­no la presenza militare straniera a tempo indetermin­ato.

Generale Dino Tricarico

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