Corriere della Sera

Berkeley licenzia il prof più amato

Dissapori tra colleghi. Non aderì a uno sciopero

- Di Massimo Gaggi

DaOxford è arrivato a Berkeley, ma l’università california­na lo ha licenziato nonostante un seguito «oceanico» tra gli studenti. Alexander Coward, prof di matematica, è accusato di metodi eccentrici.

«Ho messo la mia storia in rete una settimana fa. Ho riflettuto a lungo prima di farlo. Prendendo di petto la facoltà di Berkeley che ha deciso di licenziarm­i, rischiavo di mettermi in una condizione ancor più difficile. Un professore che nessun’altra università avrebbe più assunto. Ho deciso di farlo comunque perché ne valeva la pena: qui non è in gioco una questione sindacale, ma il modo di insegnare: come fare perché gli studenti apprendano davvero».

Alexander Coward ha vissuto mesi difficili nella grande università california­na, tempio culturale della sinistra Usa. Si è sentito discrimina­to, emarginato, minacciato, dice di essere scivolato nella depression­e e di aver avuto tentazioni suicide. Ma ora che sta per andare ad affrontare il giudizio del corpo accademico della sua facoltà, chiamato a rivedere la decisione del suo licenziame­nto sull’onda delle proteste di migliaia di studenti, questo docente inglese di matematica sembra molto sereno mentre racconta al Corriere la sua vicenda.

Una storia emblematic­a ma anche controvers­a: un professore che due anni fa si è rifiutato di aderire a uno sciopero, presentand­osi ugualmente in classe dopo aver affidato a Internet il suo messaggio: «Non so di politica, ma so che la cosa più importante è garantire a questi studenti la migliore istruzione possibile a Berkeley, un’università pubblica». E poi mille controvers­ie con gli altri docenti e anche la dirigenza della facoltà per i suoi metodi non ortodossi di valutazion­e degli studenti: giudicati in base al loro impegno e coinvolgim­ento più che in base ai voti.

Metodo discutibil­e ma che gli ha consentito di avere un seguito «oceanico» (l’80 per cento degli studenti presenti alle lezioni di calcolo rispetto al 20 per cento degli altri docenti). E di conquistar­si la fiducia e la simpatia degli allievi. Così, però, è diventato una spina nel fianco del resto del corpo accademico che, non seguendo la strada delle innovazion­i di Coward, è stato bollato come obsoleto da molti studenti. Giorni fa il Guardian, un giornale inglese, ha ripercorso la sua storia, fino al «licenziame­nto» deciso dalla facoltà. Che non commenta limitandos­i a segnalare che quello dell’insegnante venuto da Oxford tecnicamen­te non è un licenziame­nto ma soltanto un mancato rinnovo di un contratto in scadenza.

La rottura coi suoi colleghi è venuta col suo rifiuto di scioperare? Si sono sentiti messi in cattiva luce dal suo gesto, vista la pubblicità che gli ha dato e il consenso che ha raccolto tra i suoi studenti e anche in altre università?

«No, non credo che quello sciopero c’entri molto. C’entra lo stile del mio insegnamen­to. È cominciato dal giorno nel quale ho varcato la porta del dipartimen­to a Berkeley: devi seguire le norme, non cercare di fare le cose in modo diverso.

Fai come noi».

Lei è inglese, forse aveva una cultura dell’insegnamen­to della matematica diversa da quella americana.

«Dopo aver lasciato Oxford e prima di venire qui ho insegnato per tre anni a University of California Davies: facoltà magnifica, clima interno eccellente, mai un problema. Prima di passare a Berkeley ho vinto il premio di miglior docente di matematica dell’anno: è sul mio sito web».

Senza voti come fa a valutare gli studenti?

«Penso che, più dei quiz e dei compiti a casa, sia importante dare una motivazion­e intrinseca ai ragazzi. Incoraggia­rli, stimolare la loro curiosità.

Credo di esserci riuscito, viste le aule piene. Ma poi gli esami ci sono: un test di cinque ore, molto duro a metà del corso, altri due esami intermedi e un test finale di 3 ore. Molto rigoroso, duro».

E adesso? Il giovane accademico (33 anni) quando parla col Corriere sta per andare al confronto col corpo accademico. Non sa ancora come finirà, né se potrà raccontare i contenuti della discussion­e. Ma adesso sembra più sereno: temeva che nessuno l’avrebbe più assunto e invece ora dice che il suo caso e la solidariet­à degli studenti hanno spinto vari atenei «negli Usa e in altri Paesi» a offrirgli una cattedra.

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In cattedra Alexander Coward durante una lezione a Berkeley

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