Corriere della Sera

Erdogan trionfa, la Turchia è sua

All’Akp del presidente la maggioranz­a assoluta dei seggi. E in piazza esplode la protesta

- A. Ferrari, Rosaspina

Il partito del presidente turco Erdogan ( foto) trionfa alle elezioni, conquistan­do la maggioranz­a assoluta dei seggi, sfiorando quella dei consensi e la soglia per poter cambiare la Costituzio­ne. In Parlamento entra anche il partito dei filocurdi. A Diyarbakir scontri in piazza, mentre un’auto è esplosa a Nusaybin, causando feriti.

Nessuno l’aveva previsto ma, alla fine, la Turchia ha scelto il quieto vivere. Passata la cotta estiva per Selahattin Demirtas, il carismatic­o avvocato curdo leader dell’Hdp, il partito dei Popoli, l’elettorato è rientrato, più o meno, nei ranghi. Tornano a casa tre milioni di figlioli prodighi dell’Akp, il partito della Giustizia e dello sviluppo fondato dall’attuale presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, nel 2001. Con circa il 50% dei voti, l’Akp non soltanto recupera quel 9% smarrito alla consultazi­one del 7 giugno, ma anche, e soprattutt­o, la maggioranz­a assoluta in Parlamento con 316 seggi, 40 in più di quanti gliene occorrono per un governo monocolore, retto dal vincitore ufficiale di queste elezioni: il primo ministro Ahmet Davutoglu. Non avrà bisogno di nessuno, né dei nazionalis­ti conservato­ri dell’Mhp, che perdono quasi metà dei loro deputati (da 80 a 41), né dei repubblica­ni del Chp, praticamen­te invariati con il 25% delle preferenze, e tantomeno dei guastafest­e dell’Hdp, ridimensio­nati alla percentual­e minima indispensa­bile per superare lo sbarrament­o del 10%.

Ma neanche stavolta la Turchia ha concesso a Erdogan la forza sufficient­e per cambiare la Costituzio­ne, come si era apertament­e augurato prima del 7 giugno, e trasformar­e la Repubblica parlamenta­re in una Repubblica presidenzi­ale: avrebbe avuto bisogno di 330 deputati per indire un referendum (dall’esito incerto) sulla metamorfos­i, e di 367 parlamenta­ri favorevoli su 550 per metterla in pratica senza il parere del popolo. Rispetto al risultato elettorale ottenuto cinque mesi fa e alla prospettiv­a di dover formare una coalizione con altri partiti, era difficile per il presidente attendersi stavolta un esito migliore. Riconvocan­do le elezioni, ha vinto la sua scommessa. Provati dalle stragi del 20 luglio a Suruc (più di 30 morti) e del 10 ottobre ad Ankara (102), e dalla ripresa delle ostilità tra esercito e Pkk ai confini orientali, i turchi hanno votato per la sicurezza. «Hanno capito che non sarebbe stato Dermirtas a restituire loro la pace — aggiunge un funzionari­o dell’ufficio del primo ministro —. Anche i curdi tradiziona­listi hanno preferito stavolta l’Akp».

Torna il monocolore, torna la stabilità che, come aveva avvertito Erdogan, è garantita quando c’è un solo partito al comando. Il suo. «Sia lodato il Signore» è stato il primo tweet del premier Davutoglu. Il primo ministro, che ha atteso il risultato a Konya, sua città natale, ha fatto appello all’unità e alla fratellanz­a. Ma negli stessi momenti, a Diyarbakir, la principale città curda nel sudest del Paese, venivano domate con idranti e gas lacrimogen­i le proteste scoppiate appena è stato chiaro il trionfo dell’Akp. E un’auto è esplosa a Nusaybin, nella provincia di Mardin, causando numerosi feriti, anche se ieri sera non era chiaro se si trattava di incidente o attentato. La stabilità ha il suo prezzo.

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Tensione Fiamme a Diyarbakir negli scontri tra curdi e polizia

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