Accuse dalla Libia Tensione con Roma
«Le vostre navi in acque territoriali». Ma il governo smentisce
Il governo libico di Tobruk (quello riconosciuto a livello internazionale) accusa l’Italia per la violazione delle proprie acque territoriali «dopo l’ingresso di tre navi da guerra nei pressi delle coste di Bengasi». Roma nega, ma la tensione sale anche a Tripoli dove si è verificata l’ennesima profanazione del cimitero cattolico italiano, condannata come «vile e barbara» dalla Farnesina.
La Farnesina «Le nostre unità operano rispettando i limiti stabiliti dai trattati internazionali»
«La notizia diffusa da fonti libiche circa la presenza di tre navi italiane nelle acque territoriali libiche è falsa». Così, con una nota di poche righe, il ministero della Difesa ha smentito il governo libico di Tobruk (quello riconosciuto internazionalmente) che domenica di prima mattina aveva fatto filtrare sulla testata online
Libya Herald le dure parole del capo di Stato maggiore, Soqr Geroushi: «Caccia libici hanno sorvolato a bassa quota le navi italiane come segnale di avvertimento, senza colpire...», la Libia «non esiterà a ricorrere ad ogni mezzo consentito per proteggere le sue frontiere e la sua sovranità territoriale...».
Secondo la ricostruzione dei libici, nella notte tra sabato e domenica, nel tratto di mare compreso tra Bengasi e la cittadina orientale di Derna, «tre navi da guerra italiane» avrebbero oltrepassato il limite delle acque territoriali. Che, è bene ricordarlo, i libici estendono a una fascia di 30 miglia marine (circa 60 chilometri) catalogata come zona di interesse. Per stigmatizzare l’«incidente» — che, sottolineano fonti della Difesa italiana, viene denunciato alla vigilia di importati decisioni del governo di Tobruk sulla proposta del mediatore dell’Onu, Bernardino León — le autorità libiche hanno addebitato all’Italia «un atto contrario a tutti gli accordi internazionali ratificati».
Così, nella domenica in cui la Farnesina è dovuta intervenire per deplorare la profanazione del cimitero italiano di Tripoli, il ministero della Difesa ha ribadito che «tutte le navi italiane presenti nel Mediterraneo operano in acque internazionali rispettando i limiti stabiliti dai trattati».
Dal 14 settembre, dopo il via libera del Consiglio affari generali della Ue, è iniziata la fase 2 della missione EuNavFor Med che vede schierata la portaerei Cavour alla guida di una flotta europea (con unità tedesche, britanniche, spagnole, francesi) impegnata nel contrasto del traffico di migranti tra la Libia e l’Italia. Dopo la fase 1 (attività di intelligence), è dunque scattata la fase in cui «in acque internazionali» sono consentiti «in alto mare abbordaggi, perquisizioni, sequestri, dirottamenti...delle imbarcazioni sospettate di essere utilizzate per il traffico di esseri umani...».
La fase 3 di EuNavFor Med sarà molto complessa e per questo dovrà essere autorizzata dall’Onu. In mancanza di un interlocutore libico stabile, i piani di interventi in terraferma e sulle coste contro i santuari degli scafisti sono sfumati per lasciare spazio, come ha riferito il New York Times, al controllo militare (più soft) sul «fascio di rotte» utilizzate dai mercanti di esseri umani.
Quest’anno pescherecci armati (qualificatisi come Guardia costiera libica) avevano tenuto sotto tiro una nostra motovedetta che aveva sequestrato un barcone e salvato dalle onde molti immigrati. In seguito, altri armati libici avevano fermato «in acque territoriali» un motopesca di Mazara del Vallo il cui equipaggio, però, riuscì a rendere innocuo l’unico libico lasciato a presidiare il peschereccio in alto mare.