Corriere della Sera

«La mia Istanbul moderna e ottomana»

- Di Nathan Gardels

Lo scrittore Orhan Pamuk, Nobel per la letteratur­a nel 2006, ritiene che Istanbul sia «diventata più conservatr­ice e religiosa» e che «l’Islam politico» sia «passato da un atteggiame­nto statico a una visione di sviluppo economico».

Orhan Pamuk, insignito del Premio Nobel per la letteratur­a nel 2006, e da sempre residente a Istanbul, è uno scrittore che ha saputo cogliere in modo singolare i rapporti tra Oriente e Occidente. Il suo nuovo romanzo, «La stranezza che ho nella testa», è un ritratto ricco e dettagliat­o della sua amatissima Istanbul. La storia si svolge nell’arco degli ultimi decenni, che hanno visto la modernizza­zione della Turchia e l’arrivo di una massiccia immigrazio­ne interna dalle campagne dell’Anatolia verso la capitale del Paese: dalla tradizione alla modernità.

Questo romanzo non è forse anche la grande narrazione del nostro tempo, contraddis­tinta dalla massiccia immigrazio­ne urbana?

«Inizialmen­te volevo scrivere un racconto su un uomo che perde il suo lavoro, come venditore di prodotti tradiziona­li, lo yogurt o la boza leggerment­e alcolica, a causa dell’industrial­izzazione e dell’arrivo di prodotti nuovi e più moderni. La narrazione però si è sviluppata in un’epopea ricca di voci e di personaggi, perché mi incuriosiv­a esplorare come arrivavano gli immigrati a Istanbul e come si inserivano nel contesto urbano man mano che la metropoli cresceva per passare da un milione a 17 milioni di abitanti in sessant’anni. E tutto questo io l’ho vissuto da testimone diretto, essendo nato e cresciuto in questa città. Volevo capire com’era passare giorni e giorni alla ricerca di un lavoro. Quali erano le difficoltà che incontrava­no le famiglie, con le loro usanze e la loro fede, in quel nuovo ambiente? La storia del protagonis­ta Mevlut è anche la storia di tanti altri immigrati, come quelli che dalla Sicilia si spostarono a Milano o Torino negli anni 50, o dalle campagne alle grandi città industrial­i in Spagna, o ancora verso le grandi metropoli nella Cina dei giorni nostri».

Mevlut tenta invano di seguire una tradizione ormai superata. Il suo altro lavoro è in un settore moderno — fa il lettore di contatori per l’azienda dell’energia elettrica. Le due occupazion­i e la doppia identità di Mevlut rappresent­ano un ibrido di vecchio e nuovo.

«Una delle cose più importanti che abbiamo appreso nei tempi moderni è che tutti noi non siamo fatti di un’unica qualità, di una sola idea. Molti personaggi dei miei romanzi negli ultimi anni sono i turchi delle classi agiate, i turchi secolari. Spesso hanno un atteggiame­nto europeo e voglio-

Contraddiz­ioni Molti turchi hanno un atteggiame­nto europeo e vogliono entrare nella Ue, ma credono anche nell’esercito e sono pronti a seguire un leader autoritari­o

no che il Paese entri nella Ue, ma al contempo credono nel potere dell’esercito, nella possibilit­à di un golpe militare, e sono pronti a seguire un leader autoritari­o. Pur aspirando a condivider­e i valori europei, non vogliono rinunciare alla sicurezza conferita dall’etica, dalla moralità e dalla religione tradiziona­le. Questi due aspetti si fondono costanteme­nte. Dalle mie parti, ideali di uguaglianz­a e pulsioni autoritari­e convivono con concetti più liberali. Alcuni vorrebbero che il governo controllas­se tutto, altri preferisco­no libero commercio e libero mercato. Alcuni vogliono che il governo assicuri protezione, altri percorrono strade senza scrupoli per far soldi, legandosi alla criminalit­à».

Sotto Recep Tayyip Erdogan e l’Akp, la modernità ha modificato i valori tradiziona­li dell’Islam proprio come questi hanno trasformat­o la Turchia di Atatürk — e con essa Istanbul — in un Paese moderno non occidental­e. Lei ritiene che ciascuno abbia trasformat­o l’altro?

«Indubbiame­nte. Istanbul è diventata più conservatr­ice e religiosa, a seguito della grande immigrazio­ne provenient­e da zone rurali e tradiziona­li. Ne è scaturita una nuova cultura. Nuovi film melodramma­tici, ispirati alla sensibilit­à degli immigrati, hanno riscosso un enorme successo. L’Islam politico stesso è passato da un atteggiame­nto statico a una visione di sviluppo economico, incoraggia­ndo la costruzion­e della selva di palazzi che hanno cambiato il profilo della città. Nel corso di questi mutamenti, il partito di Erdogan, da paladino del governo onesto e trasparent­e, è diventato un partito che oggi viene accusato di corruzione, ricollegat­a per lo più alla speculazio­ne edilizia».

La società nel suo insieme non sembra capace di decidere se il Paese vuole tornare al suo passato ottomano o muovere in avanti. In mancanza di una narrativa convincent­e, ecco che divisioni e violenze colmano il vuoto, come abbiamo visto nel recente attentato di Ankara.

«Spero che il prossimo governo sia in grado di accogliere al suo interno i due poli opposti della Turchia nello spirito di unità nazionale, abbraccian­do la diversità della società quale condizione imprescind­ibile per la stabilità e la democrazia. Negli ultimi tempi, c’è stata un’eccessiva polarizzaz­ione. La politica e i suoi rappresent­anti hanno adesso il dovere di tirare il freno».

(Traduzione di Rita Baldassarr­e)

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Scrittore Orhan Pamuk, 63 anni

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