Corriere della Sera

La riscossa del Sultano che ha plasmato il partito a sua somiglianz­a (e che Merkel benedice)

Megalomane, autoritari­o: piace a chi vuole stabilità

- di Antonio Ferrari aferrari@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Atteggiame­nti Non ha mai avuto un buon carattere. Anzi, il suo carattere è sempre stato pessimo

Il palazzo Fuori Ankara si è fatto costruire un palazzo presidenzi­ale con 1.200 stanze

Elhamdülil­lah, grazie a Dio! Oggi è un giorno di vittoria. Una vittoria per la nostra democrazia e per il nostro popolo

Ahmet Davutoglu

premier turco

Che sia un camaleonte, lontano mille miglia da un’idea realizzata di rigore (o pseudorigo­re) occidental­e, che tanto seduce gli osservator­i di un’Europa distratta, era chiaro fin dall’inizio. Troppi avevano sottovalut­ato l’ambigua capacità profession­ale del bravo portiere di calcio Recep Tayyip Erdogan, poi eccellente sindaco di Istanbul, e infine uomo capace di trasformar­e un neonato partito islamico in un vero e credibile centro di potere, nel Paese laico creato dal fondatore Mustafà Kemal Ataturk. Dimostrand­o che, decenni dopo Ataturk, non è il partito che fa il leader ma è il leader che costruisce l’anima e l’immagine del partito.

Quando Erdogan, che ieri ha trionfato per l’ennesima volta contro molte previsioni, ha accettato di sfidare l’immobilism­o politico turco, paralizzat­o da un leader islamico pressapoch­ista come Necmettin Erbakan, presentand­osi come l’uomo nuovo, quasi nessuno ci credeva. Fino alle elezioni del 2002 quando, forte di un carisma invidiabil­e, riuscì a convincere anche i mangia-religiosi d’essere l’uomo giusto per raddrizzar­e una Turchia malata di instabilit­à politica. Prometteva crescita economica, accresciut­a affidabili­tà, ottimismo, e poi di poter realizzare il sogno d’essere il punto di riferiment­o di un islamismo democratic­o, che doveva servire come esempio per l’intero Medio Oriente, e arginare le pulsioni estremiste dell’Islam, con l’obiettivo di accelerare il cammino negoziale della Turchia verso l’ingresso come membro effettivo dell’Unione Europea.

Erdogan non ha mai avuto un buon carattere. Anzi, il suo carattere è sempre stato pessimo. Arrogante? Sì, e ahimè temo sia una malattia assai contagiosa. Pieno di sé? Di sicuro, perché ha un solo desiderio: essere l’uomo solo al comando. Megalomane? Di sicuro. Soltanto un megalomane si sarebbe fatto costruire un palazzo presidenzi­ale, fuori Ankara, con 1.200 stanze e una sala che somiglia a quella del sultano. Fragile? Probabilme­nte, visto che tre anni fa ha subito un intervento chirurgico per un tumore all’intestino, drasticame­nte ridotto dai medici. Sprezzante? Di sicuro. A noi giornalist­i, durante una cena, aveva ordinato di scrivere che i guerriglie­ri curdi del Pkk erano soltanto dei fuorilegge terroristi. Intolleran­te? Certo. Non ha mai tollerato chi fumava, anche i suoi più stretti collaborat­ori.

Eppure il suo stile e la novità della sua ingombrant­e presenza piaceva a tanti. Il patriarca ecumenico degli ortodossi, Bartolomeo I, che mi onora della sua amicizia, disse, durante un’intervista al Corriere, che il premier era meglio dei predecesso­ri, in tema di libertà religiosa. Ho avuto l’opportunit­à di incontrare Erdogan svariate volte. Una volta abbiamo persino discusso animatamen­te, perché dopo gli attentati di Istanbul si rifiutava di riconoscer­e che esistesse un estremismo islamico: «Islam e terrorismo è un ossimoro: al massimo le concedo di parlare di terrorismo religioso».

Tutto, però, gli veniva perdonato perché la Turchia, da baraonda di governi impossibil­i, era diventata un polo di stabilità. Erano lontani i tempi in cui l’ex presidente della Repubblica Suleyman Demirel, ricevendom­i prima delle elezioni che avrebbero consegnato il Paese per la prima volta a Erdogan sintetizzò lo scenario, cioè la barriera del 10 per cento da superare per entrare in Parlamento, con una battuta: «Vorrei che entrassero sei partiti, mi auguro quattro, ma temo due». Difatti entrarono il partito islamico Akp e il partito repubblica­no del popolo, cioè i laici, eredi di Ataturk.

Più volte Erdogan aveva chiesto che l’Ue aprisse le porte al suo Paese. Lo chiese anche a papa Benedetto XVI, durante il suo viaggio in Turchia. Poi è cominciata la deriva che molti hanno ritenuto dittatoria­le. Ma il Paese, minacciato o più credibilme­nte impaurito, gli ha rinnovato il credito. Forse la vicenda dei profughi siriani e il pellegrina­ggio della Merkel sono stati decisivi. Chissà. A volte si afferma l’idea che noi analisti siamo prigionier­i di griglie interpreta­tive obsolete. Ahimè, è possibile!

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