UN SINODO DI CAMBIAMENTO MA SERVE PIÙ CORAGGIO
Papa Francesco ha offerto una grande lezione ecclesiale ma per rinnovarsi davvero non basta introdurre metodi nuovi Bisogna approfondire la discussione di contenuti fondamentali come il «regime familiare». Altrimenti si rischia di andare verso una Chiesa
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Nel discorso per il 50° della istituzione del Sinodo dei vescovi ed in quello al termine dei lavori dedicati alla famiglia, papa Francesco ha offerto una grandissima lezione di stile ecclesiale, con due perni: discernimento e sinodalità. Discernimento significa che la fedeltà della Chiesa deve essere anche attenzione ai segni dei tempi (il Signore potrebbe chiederci cose che sino a ieri ci aveva vietato: sant’Agostino). Sinodalità significa Chiesa come «piramide rovesciata». Chi nella Chiesa presiede non possiede, ma serve affinché ciascun battezzato raggiunga la salvezza «liberamente ed ordinatamente» ( Lumen gentium 18, si noti l’ordine degli avverbi). In discernimento e sinodalità vive e rivive il metodo del Concilio.
Quando però si viene ai contenuti qualcosa cambia. A volte le parole sono ancora quelle del pezzo di tradizione di cui invece, seguendo il Concilio, si è abbandonato lo stile. Così ad esempio: l’uomo deve proteggere la donna (n. 28 della Relazione finale) e la famiglia deve creare e mantenere ordine nella società e nella Chiesa (n. 12); in un contesto di velato familismo manca ogni autocritica sulle responsabilità dei cristiani di ogni ordine e grado verso un regime familiare a causa del quale molti hanno sofferto. Soprattutto, fa pensa- re il confronto con i testi del Vaticano II. Lì si partiva dalle qualità proprie dell’amore coniugale (naturali e sacre insieme, Gaudium et spes 47), non si taceva del valore e della dignità di quella che Giovanni Paolo II chiamò poi la liturgia dei corpi, e ciò dettava la prospettiva sulla famiglia.
Oggi, pur essendo al centro del dibattito il matrimonio, il discorso compie il forse meno sconvolgente cammino inverso. Perché? Forse perché, se il matrimonio è segno del Regno di Dio, allora in qualche modo l’apparato ecclesiastico ne è relativizzato. Forse perché, persino nel rito, i ministri non sono i preti, ma uomini e donne normali. Forse perché alla amicizia coniugale il Signore chiede anche di rompere i legami più rassicuranti della famiglia d’origine («lascerà il padre e la madre»). Insomma è un po’ come se il coraggio che la Chiesa di Francesco mostra nel recupero dello stile del Concilio si attenui a proposito dei contenuti — se mai fosse possibile separare gli uni dagli altri — (e quello del matrimonio non è l’unico caso). Forse è anche in questo che trova alimento lo strano fenomeno di una presa di distanza silenziosa e crescente dalla Chiesa di un Papa che piace (un trend che Francesco ha trovato, non prodotto).
Chiedere più generosa attenzione al singolo caso, non solo è doveroso, ma non meritava un sinodo tanto è verità biblicamente fondata. Ciò che ancora non è stato detto è il positivo: è la santità della potenza destabilizzante dell’amore vero che coinvolge la carne, la mente e l’anima di un uomo e di una donna (senza nulla togliere alle bontà proprie di altri amori). L’amore di cui parla il Cantico dei cantici, che Gesù ha ammirato, sanato e benedetto, e che ha messo in difficoltà tanti autori sacri.
Se chi rinnova, si limita ai metodi, fatalmente i suoi contenuti non saranno altro che sfumatura di quelli dei «tradizionalisti». Chi non condivide questi ultimi è come se venisse accompagnato alla porta con un sorriso e uno sconto, mentre chi li condivide per reazione ne inventa versioni ancora più aspre e stizzose.
Come aveva compreso Paolo VI, se si vogliono cristiani più liberi e più misericordiosi, si deve offrire loro più dottrina e non meno, più disciplina e non meno. Un rinnovamento a metà, solo metodologico, rischia di produrre una Chiesa più piccola e più fondamentalista.