Corriere della Sera

LE CRUDELI «BATTUTE» SUGLI EBREI

Il caso Tavecchio purtroppo non è isolato Alcuni dirigenti dell’Ospedale israelitic­o di Roma speravano di difendersi facendosi scudo con i «piagnoni» della Shoah

- Di Paolo Mieli

Due mesi fa, Sajid Javid, ministro britannico delle Attività produttive, si è detto testimone del fatto che ad alcune cene nei quartieri benestanti di Londra prendono parte «persone rispettabi­li della classe media che avrebbero un sussulto di orrore se fossero accusate di razzismo ma in quelle occasioni sono assai felici di ripetere calunnie sugli ebrei». Chissà se in qualcuno di quei convivi Javid ha incontrato il presidente della Federazion­e Italiana Gioco Calcio, Carlo Tavecchio.

Più probabile che le «battute» sull’«ebreaccio» Cesare Anticoli e sugli israeliti che «è meglio tenere a bada» come, a suo dire, avrebbe suggerito Umberto Eco (questa poi è, se possibile, ancora più stravagant­e) le abbia riservate per il direttore di Soccerlife Massimilia­no Giacomini. Un’esclusiva per noi italiani, insomma. Come anche le sue parole sui gay: «Io non ho nulla contro, però teneteli lontano da me; io sono normalissi­mo».

Non ci fossero state le sue precedenti sortite sui neri «mangiabana­ne» e sulle donne che «fino a qualche tempo fa si riteneva fossero handicappa­te», avremmo potuto pensare a un, pur gravissimo, incidente. Ma adesso siamo costretti a constatare che c’è del metodo in Carlo Tavecchio. Un metodo reso ancora più evidente dalle successive espression­i di rammarico: «È un ricatto», «Ho ottimi rapporti con la comunità ebraica», «Ho sostenuto la posizione di Israele nell’ultimo congresso della Fifa».

Responsabi­lità Sembra che il dirigente della Federcalci­o non sappia quel che dice, ma le sue affermazio­ni restano gravi Indignazio­ne Le parole di Mastrapasq­ua e dei suoi amici contengono un tasso di crudeltà che non va ignorato

Manca solo quel che comunement­e si sente ripetere in circostanz­e del genere: la mia famiglia fu contraria alle leggi razziste del 1938, abbiamo dato riparo a degli ebrei all’epoca delle persecuzio­ni naziste, il mio migliore amico degli anni di gioventù portava orgoglioso la kippah. Povero Tavecchio, ad ogni evidenza non sa quel che dice. E che sia giunto per lui il tempo di ritirarsi a vita privata, lo si è capito allorché dal Parlamento è scattato in sua difesa l’onorevole Carlo Giovanardi che da anni si distingue nel pervicace patrocinio delle cause più stravagant­i. Il parlamenta­re ha dichiarato che contro il dirigente sportivo si sarebbe messa in movimento una «polizia dei costumi» intenziona­ta a procedere al suo «linciaggio Ha poi rimarcato che in difesa di Tavecchio si sarebbero schierati l’ambasciato­re di Israele Naor Gilon e Vittorio Pavoncello, presidente del Maccabi Italia, laddove i due si sono limitati a ricordare che Tavecchio si era opposto a una mozione palestines­e per l’esclusione delle squadre israeliane dalle competizio­ni calcistich­e. «Sul resto — ha precisato Gilon — non entro nel merito». Non sembra una gran difesa. Cosicché anche di Giovanardi si può dire che non misura alla perfezione le parole che pronuncia.

A questo punto però la cosa più sciocca sarebbe quella di pensare che quello del capo della Federcalci­o sia un caso isolato e chiuderla qui. Pochi giorni fa sono state pubblicate alcune intercetta­zioni in margine alla vicenda dell’Ospedale israelitic­o di Roma, una truffa sui rimborsi per la quale la Re- gione Lazio intende adesso recuperare otto milioni di euro (chiede cioè la «restituzio­ne» di un milione per ogni anno di spese fuori controllo, dal 2006 al 2013) e che ha portato all’arresto dell’ex direttore Antonio Mastrapasq­ua. Tramite una sua collaborat­rice, Mastrapasq­ua cercava di convincere il recalcitra­nte Riccardo Pacifici (all’epoca presidente della comunità ebraica romana) che la richiesta di chiariment­i su quei rimborsi era frutto di un complotto dei fedayn. Con l’insinuazio­ne che la dirigente della Regione che chiedeva lumi, Flori Degrassi, fosse «non filopalest­inese, ma proprio Hamas al cento per cento». In altre parole una devota non già di Abu Mazen, bensì di Khaled Meshaal. C’è da domandarsi: e anche se fosse? Che c’entra con la richiesta di informazio­ni su conti che non tornano? Ma non è tutto. Dal momento che la comunità ebraica non intendeva accogliere la richiesta di dichiarare una sua supplement­are guerra a Meshaal per interposta Degrassi, i dirigenti dell’Israelitic­o decidevano di passare a una sollecitaz­ione ancor più impegnativ­a. In un colloquio tra il primario di geriatria, Stefano Zuccaro, e il direttore sanitario dell’Israelitic­o Luigi Spinelli, i due provano ad alzare la posta: «La questione è politica e la comunità deve mettere sul piatto della bilancia la Shoah», suggerisce il primo; «Sì, sì, devono comincia’ a fa’ i piagnoni come sanno fare benissimo», concorda il secondo.

Colpiscono varie cose in questo mini dibattito tra i dirigenti del nosocomio che, ne siamo sicuri, in più di un’occasione si saranno dichiarati grandi amici del popolo ebraico. In primo luogo, come è evidente, la noncuranza con cui si prova a toccare il nervo sensibile della tensione tra Israele e i palestines­i nell’assai modesto intento di evitare i controlli della Regione sulle loro spese. Una sproporzio­ne destinata ad aumentare a dismisura quando si alza l’asticella fino alla Shoah. Potevano davvero pensare questi signori che rappresent­anti ufficiali della comunità ebraica avrebbero potuto «fa’ i piagnoni» sul più grande, incommensu­rabile dramma del Novecento al fine di evitare accertamen­ti sulle loro attività? Che consideraz­ione hanno degli appartenen­ti al mondo che li aveva voluti a quel posto? È questo il punto. Dal momento che può darsi che nei processi Mastrapasq­ua e i suoi amici vengano assolti o in qualche modo se la cavino riuscendo a dimostrare l’assenza di dolo in materia di conti maggiorati. Ma quelle loro parole contengono un tasso di cinismo e di crudeltà che in un Paese civile non dovrebbe essere lasciato passare sotto silenzio. È quello che viene fuori dalle cene londinesi denunciate dal ministro Javid. È ciò che si intravede sullo sfondo delle «battute» di Tavecchio. E che prende un’orribile consistenz­a nelle parole dei sodali di Mastrapasq­ua. Anche se questi ultimi godranno di minori luci della ribalta dal momento che in loro difesa, almeno per il momento, non ha ritenuto di pronunciar­si l’onorevole Giovanardi.

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