«Un patto sul clima poi torno alle Hawaii»
«Voglio che quando le mie figlie andranno a fare snorkeling possano vedere quello che vedevo io a 8 anni» Anticipiamo l’intervista del presidente Usa a «Rolling Stone»: uno straordinario appello all’unità, Cina e India comprese, in vista del summit di Par
Il presidente Obama era di ottimo umore l’estate scorsa durante il suo viaggio in Alaska. Un atteggiamento positivo, in contrasto con la serietà e l’urgenza del messaggio che stava rivolgendo al mondo. Con le parole forse più dure che abbia mai utilizzato in un discorso pubblico, ha avvertito che, a meno di un intervento deciso per ridurre le emissioni di anidride carbonica, «condanneremo i nostri figli a vivere in un mondo compromesso irreparabilmente». La sua impazienza era evidente.
Il viaggio in Alaska ha segnato l’inizio di quella che potrebbe essere l’ultima mossa importante della sua presidenza: creare i presupposti perché alla prossima conferenza sul clima di Parigi, in programma per fine novembre 2015, si arrivi a un accordo realmente efficace sulla riduzione delle emissioni.
Presidente, come giudica i progressi che sono stati fatti?
«Collettivamente abbiamo fatto dei progressi, ma non sono niente in confronto a quello che è necessario fare. A Copenaghen (sede della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici del 2009) siamo stati in grado di stabilire il principio fondamentale per cui, per fermare il cambio climatico, non è sufficiente che agiscano solo i Paesi più sviluppati. La Cina e l’India per esempio, date le dimensioni della loro popolazione e la rapidità con cui aumenta di numero, devono impegnarsi a investire risorse in questo senso, anche se hanno un valore di emissione di anidride carbonica pro capite più basso. Credo che a Parigi per la prima volta saremo tutti uniti nel riconoscere le rispettive responsabilità, nell’affrontare il problema ponendo obiettivi importanti e nell’aiutare finanziariamente i Paesi più poveri a stare al passo con questo programma. Se riusciremo a farlo entro la fine dell’anno, e io sono abbastanza ottimista a riguardo, avremo almeno posto le basi e creato una struttura con cui si potrà agire in modo unitario nei prossimi decenni. Detto questo, la scienza ci dice che non stiamo facendo abbastanza e non siamo abbastanza rapidi. Io però penso che, se mettiamo in piedi un sistema corretto, saremo in grado di invertire rapidamente la rotta».
Al Gore una volta mi ha detto che tutte le persone che ora hanno a cuore il cambiamento climatico hanno avuto a un certo punto un momento che lui stesso ha definito «Oh, merda», in cui hanno capito cosa c’è davvero in gioco. Qual è stato il suo?
«Sono cresciuto alle Hawaii, in un modo probabilmente molto simile a quello in cui cresce la gente qui nel Circolo Polare Artico. Ci sono tradizioni che sono molto legate alla natura, nelle Hawaii. C’è una sorta di consapevolezza innata di quanto sia fragile l’ecosistema che ti circonda. Quando ero piccolo, alle Hawaii c’erano barriere coralline rigogliose e piene di pesci che oggi non ci sono più. Quindi non credo di aver avuto una rivelazione. Ne parlavo già nei miei primi discorsi del 2007 e 2008, l’ho sempre ritenuto un tema importante. Ogni volta che ricevo una relazione scientifica mi rendo conto che c’è sempre meno tempo, che sta succedendo più in fretta di quello che pensavamo. Il nostro compito è suonare l’allarme più forte e il più velocemente possibile. La buona notizia però, come ho detto, è che è stato spazzato via quello scetticismo che girava intorno a questi dati scientifici fino a due o tre anni fa. Ab-
biamo ripulito quel sottobosco. Un argomento che viene portato avanti dagli oppositori, soprattutto dai Repubblicani è: “Ok, anche se fosse un problema reale, perché dovremmo fare qualcosa noi, visto che i cinesi non fanno niente?”. Il mio viaggio in Cina e l’annuncio congiunto che abbiamo fatto con la Cina riguardo all’impegno a fermare il cambio climatico sono stati importanti per sgonfiare questo argomento».
Ha parlato del cambiamento climatico come di un problema di sicurezza nazionale. Come lo mette in confronto, da questo punto di vista, alle situazioni di politica internazionale, per esempio alla minaccia dell’Isis o dell’Iran?
«Sono diversi, ma come presidente e comandante in capo non posso permettermi il lusso di sceglierne uno rispetto all’altro. Sono tutti problemi importanti. Per quanto riguarda il cambiamento climatico, sappiamo che l’aumento della siccità e delle alluvioni e l’erosione delle coste avranno un impatto sull’agricoltura e faranno aumentare la carestia in alcune zone del mondo e questo porterà alla migrazione di un gran numero di persone. Per esempio, quello che sta succedendo in Siria è in parte il risultato di una terribile carestia che ha portato grandi fette di popolazione a spostarsi dalle campagne alle città, creando il clima politico adatto a scatenare le proteste contro Assad, che a sua volta ha risposto nel modo più malvagio possibile. Questo è il tipo di minaccia alla sicurezza nazionale che può essere provocata dal cambio climatico. Si manifesterà in modi diversi, ma quello che abbiamo imparato dalla storia è che, quando le popolazioni sono messe alle strette e vivono in condizioni difficili, reagiscono male. Si esprime sotto forma di nazionalismo, guerra, xenofobia, terrorismo».
Quando parla del capitalismo, mi ricorda il Papa. Anche lui ha affrontato il tema del cambio climatico e sta cercando di dare una spinta agli incontri di Parigi.
«Il Papa mi piace molto».
Come persona?
«Certo, è una brava persona. E sta dalla parte giusta riguardo a molte cose».
Nella sua enciclica, Papa Francesco ha parlato di quello che definisce «il mito del progresso». La sua tesi è che l’avidità e il materialismo stiano distruggendo il pianeta. Cosa ne pensa?
«Non si può negare che il sistema economico basato sul libero mercato abbia creato più ricchezza di ogni altro nella storia dell’umanità. Inoltre è sempre stato una forza di cambiamento in positivo. Pensa al miglioramento delle condizioni di vita che abbiamo visto nel corso della nostra stessa esistenza negli Stati Uniti, pensa alle centinaia di milioni di persone che sono uscite dallo povertà in Cina e in India, non si può assolutamente sminuire questo fatto. Quando un bambino ha abbastanza cibo da mangiare e ha le medicine necessarie a prevenire malattie mortali, quando le persone hanno un tetto sotto cui dormire e possono mandare i loro fidi gli a scuola, questa secondo me è giustizia. Rientra nella mia etica. Quindi credo che attaccare il sistema del libero mercato in generale sia un errore. D’altro canto è vero che le ideologie liberiste che ignorano le conseguenze verso il mondo esterno prodotte dai sistemi capitalisti possono creare enormi problemi. L’inquinamento è un classico esempio di fallimento del libero mercato, una di quelle conseguenze che vengono ignorate, anche se hanno un impatto negativo su tutti noi. Il nostro obiettivo è dire che il cambiamento climatico rappresenta un altro di questi fallimenti siamo stati in grado di risolvere il problema delle piogge acide e del buco dell’ozono con alcuni provvedimenti intelligenti, possiamo farlo anche con il cambiamento climatico. Il modo di affrontare questi fallimenti è coinvolgere tutti nella discussione e giungere a una soluzione condivisa, e cioè che dobbiamo tenerne conto tutti nel nostro modo di gestire gli affari. Se riusciamo a farlo, ci sarà un modo per trarne profitto, si creeranno posti di lavoro. Però è necessario che i nostri politici siano al corrente della situazione, e al momento nel nostro Paese il Congresso fa fatica a far passare una legge sui trasporti, figuriamoci ad affrontare un tema del genere».
Come gestisce la responsabilità di dover evitare una catastrofe di dimensioni inimmaginabili, che avrà conseguenze su tutta l’umanità e può avvenire nel corso dell’esistenza delle sue figlie?
«Ci penso sempre. Penso sempre a Malia e Sasha, penso sempre ai loro figli. Ogni anno torno alle Hawaii, e spero di poterci passare molto tempo quando il mio mandato sarà finito. Voglio che quando le mie figlie andranno a fare snorkeling possano vedere quello che vedevo io quando avevo 5 o 8 anni».
L’inquinamento è un classico esempio di fallimento del libero mercato, a lungo ignorato