«Basta pizzo» Boss in carcere
Palermo, la denuncia di 36 commercianti e imprenditori. Il premier Renzi: «Grazie al loro coraggio»
Trentasei imprenditori che avevano pagato il pizzo per anni alla mafia sono diventati i protagonisti di una rivolta contro il racket. E grazie a loro ventidue mafiosi vengono incastrati dai carabinieri.
Con un sussulto di dignità, aiutati dai ragazzi di Addiopizzo a fare il grande passo, 36 imprenditori che avevano pagato il pizzo per anni alla mafia sono diventati i protagonisti di una rivolta contro il racket. Parlano. Raccontano. Si pentono di essersi lasciati piegare. Rivelano. E nella Bagheria di Guttuso e Tornatore, di Ignazio Buttitta, Dacia Maraini, di tanti grandi artisti, 22 mafiosi vengono incastrati dai carabinieri con un’operazione chiamata «Reset 2» perché è il secondo colpo inflitto alle cosche.
È la storia di una grande quantità di estorsioni maturate dal 2003 al 2013. E in qualche caso si va indietro nel tempo fino agli anni Novanta. Più di 50 gli episodi documentati nell’inchiesta condotta dai carabinieri del comandante provinciale Giuseppe De Riggi e del colonnello Salvatore Altavilla, coordinati dalla Procura diretta da Franco Lo Voi e dall’aggiunto Leonardo Agueci. Tutti soddisfatti da un’operazione che bilancia l’amarezza di un pianeta giudiziario dove tanti magistrati sono sotto inchiesta per l’allegra gestione dei beni confiscati alla mafia.
Un risultato ottenuto grazie al coraggio degli imprenditori di ribellarsi alla mafia non solo nel campo dell’edilizia, ma anche in tante remunerative attività economiche, dai negozi di mobili e di abbigliamento al commercio all’ingrosso di frutta e di pesce, dai bar a sale giochi e centri scommesse.
Un dato che ha portato ad una somma di congratulazioni rimbalzate al comando generale dell’Arma dove è echeggiato il twitter del premier Matteo Renzi: «Coraggio di chi rifiuta ricatti, grazie a Carabinieri e inquirenti. Bagheria non è cosa loro». Per una volta il premier in sintonia con Beppe Grillo che a Bagheria è fiero del «suo» sindaco, pure lui in campo con un post: «#BagheriaOnesta alza la testa: i cittadini denunciano i boss».
Fra i 22 boss individuati anche grazie al pentito Sergio Flamia, tutti accusati di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione, sequestro di persona, danneggiamento a seguito di incendio, ricorrono nomi molto noti nelle cronache degli anni passati, da Pino Sucato a Gino e Francesco Mineo, da Salvatore Lauricella a Onofrio Morreale, fino a Giuseppe Flamia chiamato dai complici «il porco». Intercettati quando restano in cassa 2.500 euro che poi spariscono, stando a una voce esplicita: «Dicevano che 2 mila dovevano andare alla moglie di Nino per andare a colloquio (in carcere, col marito)... ma chi doveva portarglieli se li è trattenuti. Io con queste persone debbo combattere? E per Pasqua c’è stata la stessa cosa... quella soldi non ne aveva ricevuti».
Ascoltando le registrazioni sorge il dubbio che gli aguzzini si facessero la cresta tra loro sugli incassi. Ma alle scadenze delle feste comandate scattava la caccia al pizzo, come emerge in un colloquio fra Giovanni Salvatore e Leonardo Granà. Il primo: «Gli devo ricordare a Rosario che questa settimana è Pasqua e deve andare da quello per riscuotere». E il secondo: «Buono». «Sempre si devono presentare per Pasqua e Natale». E Vincenzo Urso, parlando con Giuseppe Bucaro, contrariato da un imprenditore restio a pagare: «Quello ci fotteva un mare di “piccioli” (soldi, ndr)... C’è bisogno di andare facendo queste male azioni..? Levaci tutte cose... facci buttare il sangue...».
Le intercettazioni Spedizioni punitive: «Quello deve pagare... Vai e levagli tutto, fagli buttare il sangue»