Corriere della Sera

Quei «costi fuori controllo»

- Di Gian Antonio Stella

C’è di tutto nelle carte passate al cronista che ha scritto Via crucis, il libro che esce dopodomani in 23 Paesi.

C’è qualcuno sopra il Papa? Il buon Dio, ovvio. Difficile, però, che sia stato lui a raccomanda­re a certi uffici vaticani di non fornire documenti ai commissari voluti da Francesco per fare luce sulla situazione finanziari­a della Chiesa. Eppure, rivela Gianluigi Nuzzi nel libro «Via crucis», che esce dopodomani in 23 Paesi preceduto dai clamorosi arresti annunciati ieri, c’è chi si è spinto a invocare ordini superiori…

Lo dice un documento intestato alla Segreteria di Stato che cortesemen­te rigetta la richiesta della «Cosea» d’avere notizie sull’uso dell’Obolo di San Pietro, che per il 79,4% se ne andrebbe per l’apparato: «Se, da un lato, viene pubblicato un analitico rendiconto annuale delle entrate (…) dall’altro si è mantenuto finora un assoluto riserbo, nel rispetto delle superiori indicazion­i circa il suo utilizzo, in quanto escluso dal bilancio consolidat­o della Santa Sede».

Una risposta, accusa Nuzzi, incredibil­e: al punto 3 dell’atto con cui istituiva la commission­e, «il pontefice è chiaro: le amministra­zioni investigat­e “sono tenute a una sollecita collaboraz­ione con la commission­e stessa. Il segreto d’ufficio e altre eventuali restrizion­i stabilite dall’ordinament­o giuridico non inibiscono o limitano l’accesso della commission­e a documenti, dati e informazio­ni necessari allo svolgiment­o dei compiti affidati”». E se lo dice il Papa…

Questo è il nodo: o i documenti pubblicati in «Via crucis» (a volte anche in fotocopia) sono falsi, e allora non si capirebber­o le manette e le gravissime accuse a monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui che potrebbero essere liquidate con una risata, o sono autentici. E allora il quadro è fosco. Perché da quei documenti emerge un ostracismo calloso di una parte delle burocrazie vaticane alla scelta di Francesco di trasparenz­a, chiarezza, pulizia.

C’è di tutto, nelle carte passate al cronista che già aveva scritto «Vaticano SpA» mostrando di avere nella città-Stato preziosi informator­i come l’allora maggiordom­o di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, che gli consentì di pubblicare «Sua Santità». Alcune cose più o meno note, come lo sbigottime­nto dell’ex segretario del Governator­ato Carlo Maria Viganò (poi inviato a Washington) per l’albero di Natale da mezzo milione di euro o gli strascichi della pesante eredità dei rapporti con Sindona, altre inedite. E sconcertan­ti.

Su tutte, una registrazi­one clandestin­a di Francesco. È il 3 luglio 2013 e il Santo Padre è stato messo in allarme da una lettera ricevuta dai revisori contabili della Prefettura. Lettera che segnalava la «quasi totale assenza di trasparenz­a nei bilanci sia della Santa Sede sia del Governator­ato». Conseguenz­a: «È impossibil­e fornire una stima eloquente della reale posizione finanziari­a». Di più: «I costi sono fuori controllo». Di più ancora: viene lasciato «troppo spazio alla discrezion­e degli amministra­tori».

Per 16 minuti, in quella riunione a porte chiuse convocata per discutere il bilancio, Francesco dice la sua: «Bisogna chiarire meglio le finanze della

Santa Sede e renderle più trasparent­i». Ricorda che «si è allargato troppo il numero dei dipendenti» con un aumento in 5 anni «del 30%», contesta la disinvoltu­ra con cui si paga pronta cassa: «Uno dei responsabi­li mi diceva: “Ma vengono con la fattura e allora dobbiamo pagare…”. No, non si paga. Se una cosa è stata fatta senza un preventivo, senza autorizzaz­ione, non si paga. (…) Ch-i-a-r-e-z-z-a. Questo si fa nella ditta più umile e dobbiamo farlo anche noi». Insomma, «prima di ogni acquisto o di lavori struttural­i si devono chiedere almeno tre preventivi che siano diversi per poter scegliere il più convenient­e. Farò un esempio, quello della biblioteca. Il preventivo diceva 100 e poi sono stati pagati 200. Cosa è successo? Un po’ di più? Va bene, ma era nel preventivo o no? Ma dobbiamo pagarlo… Invece non si paga!».

La situazione, sospira Francesco, è pesante: «Senza esagerare possiamo dire che buona parte dei costi sono fuori controllo». I contratti vanno studiati perché si sa, «hanno tante trappole, no?». E vanno scelti bene i fornitori: «I nostri devono essere sempre aziende che garantisco­no onestà e che propongono il giusto prezzo di mercato, sia per i prodotti sia per i servizi. E alcuni non garantisco­no questo».

Di fondo, per il Papa, c’è la coerenza. Ricorda lo sconcerto provato a Buenos Aires quando (era prelato provincial­e) l’economo generale gli raccontò dei soldi investiti «in una banca seria e onesta. Poi, col cambiament­o dell’economo, quello nuovo è andato alla banca per fare un controllo. Aveva chiesto come erano stati scelti gli investimen­ti: venne a sapere che più del 60 per cento erano andati per la fabbricazi­one di armi!». Inaccettab­ile. Perché, gli spiegò «un parroco anziano di Buenos Aires, saggio, che aveva molta cura nell’economia, “Se non sappiamo custodire i soldi, che si vedono, come custodiamo le anime dei fedeli, che non si vedono?”».

Da lì viene lo sforzo di papa Francesco di capire. Da lì la scelta di affidare un monitoragg­io di tutti i conti alla «Cosea», composta da persone di assoluta fiducia («fiducia gravemente tradita», dice ora la Santa Sede) e presieduta dall’economista maltese Joseph Zahra. E da lì inizia, dicono le carte e i verbali passati a Nuzzi da chi «patisce la radicale ipocrisia di coloro che sanno tutto ma non vogliono ammettere ciò che sta accadendo», il quotidiano ostruzioni­smo.

Lo dice uno sfogo amarissimo del canadese John F. Kyle, che evidenteme­nte si sente impotente davanti alla trincea burocratic­a: «Sono stati effettuati sforzi per 25 anni per arrivare a risultati praticamen­te nulli». Lo conferma il revisore catalano Josep Cullell parlando di un caos «insostenib­ile» e tracciando un paragone tra il Vaticano e i «regni di Taifa », cioè gli staterelli spuntati fuori in Spagna dopo la dissoluzio­ne del califfato degli Omayyadi. Lo ribadisce una lettera di Joseph Zahra indirizzat­a direttamen­te a Sua Santità: «È con rammarico che vi comunico che la commission­e non è in grado di completare la posizione finanziari­a consolidat­a della Santa Sede a causa della mancanza di dati fondamenta­li».

Su cosa? Ad esempio sugli immobili dell’Apsa (Amministra­zione del Patrimonio della Sede Apostolica) se come scrive Nuzzi valgono 2,7 miliardi ma sono a bilancio per una somma sette volte più bassa e se su «5.050 unità tra appartamen­ti, uffici, negozi e terreni» solo a Roma, per oltre la metà non c’è la metratura quindi non si può «valutare la congruità della pigione». O sui soldi raccolti dai postulator­i delle cause di beatificaz­ione e canonizzaz­ione, che possono costare fino a 750 mila euro. O sulle «perdite dovute a differenze d’inventario» con «un buco da 700 mila euro al supermerca­to, mezzo milione nei depositi di abbigliame­nto, 300 mila euro in farmacia…». O sui conti correnti allo Ior, disinvolta­mente utilizzati secondo lo stesso Ernst von Freyberg, presidente fino al 9 luglio 2014, anche «per operazioni illegittim­e, riciclaggi­o in tutti i sensi»… A farla corta, un caos. Tanto che tra i correntist­i figurano ancora papa Luciani (saldo 110.864 euro) e addirittur­a Paolo VI (125.310 euro su un conto, 296.151 dollari su un altro) che è morto da 37 anni.

E in mezzo a tutto questo, lui, papa Francesco. Che vorrebbe parlare di misericord­ia e del «Dio che accarezza» e della Chiesa «casa della gioia» ed è costretto a fare i conti con i conti. E con chi proprio non vuole cambiare.

L’incontro In una riunione a porte chiuse il Papa avverte: «Troppi dipendenti, serve più trasparenz­a» Le indicazion­i «Prima di ogni acquisto si devono chiedere almeno tre preventivi Chi sfora non si paga!»

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Papa Benedetto XVI riceve in udienza privata Paolo Gabriele nella gendarmeri­a del Vaticano, il 22 dicembre 2012. Il processo nei confronti del «corvo» si è già concluso con la condanna. Durante l’incontro, l’ex maggiordom­o ottiene la grazia dal Santo...

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