OBAMA E LA GUERRA UNA LINEA CONTESTATA
Fra un anno, l’8 novembre del 2016, si terranno le elezioni presidenziali in Usa e il presidente uscente, Obama, offre al mondo l’impressione di volere cambiare la strategia fin qui condotta nei riguardi dei conflitti internazionali, per recuperare consensi elettorali. Non si spiegherebbe diversamente la decisione di inviare soldati in Siria e Iraq, oltre a intensificare gli attacchi aerei, per combattere ( finalmente!) l’Isis e non lasciare troppo spazio e visibilità alla Russia di Putin. Altrettanto si dovrebbe dire della decisione di inviare «in missione» un cacciatorpediniere, sventolante bandiera a stelle e strisce, nelle isole del SudEst asiatico, considerate proprietà privata dalla Cina e contese da varie nazioni circostanti. Lei, che ha sempre criticato il presidente Obama per il suo ondeggiamento a livello di politica internazionale, come giudica l’attuale cambiamento di rotta? Caro Lucchini, Non credo che vi sia una relazione fra la prossima scadenza elettorale americana e le più recenti iniziative politicomilitari degli Stati Uniti. Barack Obama non può candidarsi per un nuovo mandato e il suo maggiore interesse, in questo momento, è quello di difendere tutto ciò che di nuovo è riuscito a realizzare durante la sua presidenza: la riforma sanitaria, l’accordo sulla politica nucleare dell’Iran, la ripresa delle relazioni diplomatiche con Cuba. Ha dovuto correggere, con l’invio di nuove truppe, alcune decisioni sulla presenza delle forze americane in Iraq; e ha dovuto prendere una parte attiva alle operazioni militari in Siria. Ma vi è stato costretto dalla evoluzione della situazione sul terreno. Nelle relazioni internazionali è raro che uno Stato possa agire in piena autonomia senza tenere conto delle mosse di altri giocatori. Se la guerra si allarga e la minaccia dell’Isis non cessa di crescere, gli Stati Uniti non possono disinteressarsi del problema e restare incrollabilmente fedeli a una linea adottata in altre circostanze.
Più interessante, invece, mi sembra il fatto che Obama non abbia rinunciato a ridimensionare le forze armate americane. Ritiene che non debbano essere concepite e attrezzate per operazioni stabilizzatrici di lunga durata, come è accaduto in Afghanistan e in Iraq negli scorsi anni. Le ragioni sono finanziarie e politiche. Il costo della guerra irachena e la serrata del bilancio (il c.d. shutdown) hanno costretto gli Stati Uniti a rivedere le loro spese militari; mentre le considerazioni economiche coincidono con l’intenzione, più volte espressa dal presidente, di evitare che il suo Paese sia il «gendarme del mondo». Ma già cominciano a levarsi voci di falchi e neoconservatori che denunciano questa politica e chiedono che gli Stati Uniti abbiano i mezzi per un ruolo mondiale.