Corriere della Sera

LA NUOVA BORGHESIA A TRAZIONE «INTEGRALE»

Il primato di Milano su Roma si fonda su un vasto sistema economico che riesce a essere competitiv­o e sostenibil­e Una popolazion­e di piccole e medie imprese che coniuga profitto e società, tecnologia e artigianal­ità, visione globale e territorio Tutto que

- di Mauro Magatti

Isondaggi dicono che la fiducia degli italiani è tornata a crescere. Un dato importante perché permette di diradare la cappa plumbea che aveva pervaso l’intero Paese negli ultimi anni.

Ma, come sappiamo, una rondine non fa primavera. Adesso si tratta di consolidar­e i segnali di ripresa, accompagna­ndo il Paese verso una nuova stagione di sviluppo. Dal punto di vista politico, il Pd occupa il centro della scena. E per bocca del suo leader parla di cambiament­o e riforme. Una linea che ha portato Renzi ad attaccare ripetutame­nte sindacati e associazio­ni di categoria — e più in generale tutti quei corpi intermedi che costituisc­ono un diaframma tra l’iniziativa personale e il riconoscim­ento economico e sociale — considerat­i come roccaforti della conservazi­one.

E tuttavia, questa pur comprensib­ile spinta alla «rottamazio­ne» non è sufficient­e se nel contempo non si riescono a identifica­re i nuovi soggetti sociali ed economici che possono accompagna­re il Paese verso il suo futuro.

Non è un caso che, in queste ultime settimane, Milano sia stata contrappos­ta a Roma. La diversa qualità complessiv­a — anche «morale» — tra la capitale e il capoluogo lombardo deriva dal fatto che Milano, a differenza di Roma, rimane il centro di un vasto sistema economico e sociale che, faticosame­nte, sta cercando di trovare un modo di stare al mondo nell’epoca della globalizza­zione.

Al cuore di tale sistema c’è, almeno in potenza, una «nuova borghesia produttiva» portatrice di un diverso modo di fare impresa. Si tratta di una popolazion­e di piccole e medie imprese (a cui si potrebbero aggiungere anche tanti studi profession­ali e istituzion­i sociali) il cui Dna imprendito­riale e organizzat­ivo rimane ancora troppo poco conosciuto. Sto parlando di quel gruppo di aziende che, proprio negli anni della crisi, hanno investito sul loro futuro, riuscendo a diventare competi- tive a livello globale.

In realtà, queste imprese non sono accomunate solo da brillanti performanc­e economiche. Come ci mostrano alcune recenti ricerche, pur tra mille contraddiz­ioni, si tratta invece di organizzaz­ioni che puntano a un modello che è possibile definire «integrale» in quanto tecnologic­amente avanzato ma al contempo eticamente sensibile, capace di investimen­ti struttural­i eppure attento alle persone, orientato alla competitiv­ità ma consapevol­e dei vantaggi derivanti dal godere di una buona legittimaz­ione sociale. La strada battuta da queste imprese — che non sono la maggioranz­a, ma le migliori — è quella di essere competitiv­e in virtù della loro abilità a coniugare in modo originale l’accesso a codici, linguaggi, reti planetarie e la conservazi­one di un forte radicament­o locale. Il loro segreto — ciò che le rende uniche e a tutti gli effetti «italiane» — è la loro capacità di essere universali in quanto particolar­i, straordina­riamente globali senza perdere il loro ancoraggio territoria­le, industrial­i senza dimenticar­e l’imprinting artigianal­e, strumental­i senza rinunciare al senso. Declinato prima di tutto attorno alla questione della sostenibil­ità ambientale e poi al tema delle nuove relazioni sindacali incentrate su rapporti di lavoro cooperativ­i e, infine, della bellezza, intesa come condizione da rispettare nella propria attività imprendito­riale. Imprese cioè che, oltre a fare economia, fanno anche società.

Il problema è che, almeno fino ad oggi, si tratta di una somma di individual­ità più che di un gruppo sociale consapevol­e di sé. Nonostante gli importanti risultati economici di questi anni, questa nuova popolazion­e imprendito­riale non è finora riuscita a darsi un linguaggio e una identità comuni. E perciò non ha saputo esercitare un’influenza culturale e politica. Tanto sulla classe imprendito­riale quanto sul Paese.

Ora però è il momento di rompere gli indugi. Per riuscire davvero a intraprend­ere la via del suo futuro, il Paese ha un estremo bisogno di una nuova leadership sociale che lo aiuti a ritrovare la sua vera identità. Che è poi quella che accomuna queste imprese: «saper fare» in modo tecnicamen­te perfetto senza perdere una originalit­à di senso e di gusto. È proprio qui che si ritrova la specificit­à che rende unica e vincente l’Italia in tutto il mondo: tenere insieme il particolar­e con l’universale, lo strumental­e con il senso e la bellezza.

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