Corriere della Sera

UN CAMBIO DI RITMO ORA O MAI PIÙ

- Di Federico Fubini

«Un pasto gratis è una cosa che non esiste». È stato Milton Friedman, il fondatore della scuola dei liberisti di Chicago, a trasformar­e un proverbio americano in un principio portante dell’economia. E per quanto si possa dissentire da lui (o no), un dettaglio nella legge di Stabilità che ora avvia la sua navigazion­e in Parlamento rivela che almeno su questo punto aveva visto giusto. L’ha colto la Corte dei conti nella sua audizione di ieri in Senato. Per contenere le uscite in bilancio di appena lo 0,3% del Pil nell’insieme dei prossimi tre anni, lo Stato blocca le nuove assunzioni a un quarto della spesa sostenuta in passato per il personale che adesso se ne va. In sostanza non entreranno nella amministra­zione forze fresche, laureati o diplomati di costosi master dove magari hanno imparato a usare un nuovo software di analisi dei dati o anche solo come si fa una presentazi­one digitale. Già oggi nei ministeri 4 addetti su 10 hanno più di 55 anni, solo 6 ogni 100 ne hanno meno di 40, ma lo squilibrio non può che accentuars­i. Chi ha più anni ha esperienza, ma per motivi comprensib­ili — tagliare qualche spesa mentre si riducono le tasse — lo Stato oggi si priva delle conoscenze e dell’energia di chi è nato dopo. Difficile che l’efficienza della burocrazia ne guadagni. È solo un esempio. Ma è tipico del leitmotiv che sta emergendo nel confronto sulla manovra iniziato in questi giorni fra istituzion­i diverse: la magistratu­ra contabile, la Banca d’Italia, le Regioni, i Comuni, e il Parlamento che dovrà votare la legge di bilancio.

Questo motivo di fondo dice che lo Stato ormai è arrivato al limite dei risparmi possibili senza ridisegnar­e la propria architettu­ra. Se il governo vuole ridurre le tasse in modo credibile senza perdere il controllo dei conti, tra non molto dovrà ripensare le strutture portanti del settore pubblico. «Ci sono limiti alla pura e semplice compressio­ne delle spese», nota la Banca d’Italia nella sua relazione di ieri in Parlamento e suona come una versione più local del vecchio motto di Milton Friedman.

Al netto della detassazio­ne della prima casa, l’obiettivo di fondo di questa manovra pluriennal­e è tagliare le tasse sul reddito delle imprese sotto i livelli della Germania o della Spagna. Difficile non condivider­e, in un Paese nel quale gli investimen­ti sono crollati di un terzo dal 2007. Su questo però la Banca d’Italia, l’Ufficio parlamenta­re di bilancio, la Corte dei conti ma anche le Regioni colpite dal 60% dei tagli di spesa previsti nei prossimi tre anni hanno un messaggio comune: la navigazion­e a vista, fatta di limature, è finita. Non c’è più spazio, come dimostra la vicenda del sostegno ai ceti deboli: con questa manovra aumenta precisamen­te di 6 euro e 28 centesimi al mese in media per ciascuno dei dieci milioni di abitanti oggi in condizioni di povertà relativa.

L’occasione per il cambio di ritmo, che il governo peraltro ha in programma, ora c’è ed è irripetibi­le. La Banca centrale europea sta sostenendo il debito pubblico italiano ed europeo come mai prima. Di fatto è disposta a tenere aperto per qualche tempo un ombrello su un Paese che deve smontare e rimontare il proprio motore, se vuole ripartire. Il presidente della Bce Mario Draghi l’ha detto con la solita efficacia: persino una nazione ad alto debito pubblico può crearsi da subito lo spazio per un’espansione di bilancio, a patto che faccia ciò che serve per aumentare il suo potenziale, la partecipaz­ione al mondo del lavoro, la capacità delle imprese e dei suoi addetti di produrre valore. Se succede, con la crescita arriverann­o più entrate anche se le aliquote calano. Il passaggio in Parlamento della legge di Stabilità produrrà molto rumore di fondo. Ma non lasciamoci distrarre: la posta in gioco resta questa.

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