Corriere della Sera

Per il giudice è Mafia Capitale

La sentenza dà forza alle tesi della Procura nel maxi-processo al via domani

- Di Giovanni Bianconi

Cinque anni e 4 mesi di carcere per corruzione. Ma ciò che conta, nella prima condanna sul caso Roma, è l’aggravante: aver favorito, con comportame­nti illeciti, l’associazio­ne mafiosa. Ovvero, Mafia Capitale esiste.

Cinque anni e quattro mesi di carcere per corruzione, più di quanto aveva chiesto l’accusa e con lo sconto dovuto al rito abbreviato, sono una pena che può definirsi esemplare. Ma ciò che più conta, nel verdetto che ieri ha condannato Emilio Gammuto — ex detenuto per tentato omicidio, rapina e armi, poi «reinserito socialment­e» e divenuto stretto collaborat­ore di Salvatore Buzzi nella gestione della cooperativ­a «29 giugno» — è l’aggravante di aver favorito, con i propri comportant­i illeciti, l’associazio­ne mafiosa. Che quindi è stata riconosciu­ta come tale dal giudice che ha emesso la sentenza.

È la prima volta che avviene nella fase del processo vero e proprio, finora tutte le pronunce (compresa quella della Cassazione) erano limitate alle ordinanze di arresto; ora invece, al momento di decidere se un imputato è colpevole o innocente, un giudice ha stabilito che il «sodalizio criminale» capeggiato da Massimo Carminati e Buzzi non solo esiste, ma può essere a buon diritto chiamato «Mafia Capitale». Di qui l’aggravante addebitata a Gammuto; imputato minore ma non troppo, nella costruzion­e dei pubblici ministeri che l’avevano messo sulla linea di confine tra i «mafiosi» propriamen­te detti e gli altri; lasciandol­o al di qua perché proprio la gravità dell’accusa richiede un livello probatorio molto elevato. Ma Gammuto, per dirne una, è stato intercetta­to con Carminati mentre organizzav­ano la bonifica degli uffici della cooperativ­a, per proteggerl­a da eventuali microspie.

A parte la singola condanna, il riconoscim­ento dell’aggravante mafiosa è il miglior viatico per la Procura in vista del dibattimen­to che comincia domani; una sorta di maxi-processo con 46 imputati (tre in videoconfe­renza, considerat­i i vertici dell’organizzaz­ione) dai risvolti politici talmente evidenti da aver provocato — di fatto — la crisi in Campidogli­o con conseguent­e «scioglimen­to» del consiglio comunale; non per mafia ma per il venir meno delle condizioni di governabil­ità a partire da ciò che l’inchiesta sul «mondo di mezzo» ha messo in luce fin dalla prima retata di fine 2014. Anche nel processo principale che si svolgerà col rito ordinario e si aprirà con schermagli­e procedural­i tra accusa e difesa che non saranno solo formali, la sfida principale resta la stessa: l’esistenza o meno dell’associazio­ne mafiosa «originale e originaria», come l’hanno definita i pubblici ministeri; «originale perché presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabi­li a quelli di altre consorteri­e note (come Cosa nostra o la ‘ndrangheta, ndr), e originaria perché la sua genesi è propriamen­te romana, nelle sue specificit­à criminali e istituzion­ali». È il tema sul quale da mesi si alimentano polemiche, più giornalist­iche che giuridiche, che prevedibil­mente accompagne­ranno tutto il processo.

Sebbene accusato solo di corruzione, uno degli imputati più noti è Luca Odevaine, che ieri ha ottenuto gli arresti domiciliar­i. Dopo 11 mesi di detenzione preventiva ieri i pm hanno dato parere favorevole alla scarcerazi­one, e si apprestano a siglare con i suoi avvocati il patteggiam­ento della pena. Odevaine (già vicecapo di Gabinetto nella giunta guidata da Walter Veltroni, poi messo «a libro paga» da Buzzi e dalle coop bianche de La Cascina) ha ammesso buona parte delle proprie responsabi­lità, ed è stato giudicato credibile dalla Procura; a differenza di Buzzi.

Nei suoi interrogat­ori il «facilitato­re nei rapporti con la pubblica amministra­zione», come da autodefini­zione, ha accennato tra l’altro a presunti accordi tra maggioranz­a e opposizion­e in Campidogli­o dai tempi dell’ex sindaco Alemanno (inizialmen­te indagato per associazio­ne mafiosa e ora imputato di corruzione), in modo che ogni consiglier­e avesse una sorta di «quota di spesa» garantita nel bilancio comunale. E gli accertamen­ti della Procura proseguono anche in altre direzioni; a partire dalle intercetta­zioni effettuate dai carabinier­i del Ros, nonché dalle chiamate in correità di Buzzi che hanno bisogno di approfondi­menti nonostante la patente di inattendib­ilità attribuita all’ex «signore delle cooperativ­e». Per questo sono già indagati l’ex capogruppo del Pd in Comune Francesco D’Ausilio, il suo alter

ego Salvatore Nucera e altri personaggi citati nelle conversazi­oni di Buzzi.

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