Corriere della Sera

«I finti presenti vanno licenziati»

Il piano del ministro Madia per la riforma del pubblico impiego. Le misure: tempi più brevi per accertare i comportame­nti fraudolent­i, più chiarezza sulle responsabi­lità dei capi ufficio

- Di Lorenzo Salvia

Dopo i vigili di Roma assenti a Capodanno e quello di Sanremo che timbrava in mutande, la ministra Madia è netta: «Chi dice che va a lavorare e non lo fa va licenziato».

«Un dipendente pubblico che dice di andare a lavorare e poi non ci va, deve essere licenziato». Sembra una frase scontata, persino banale, quella pronunciat­a ieri dal ministro della Pubblica amministra­zione Marianna Madia. Ma non lo è. Perché «non è vero che tutti i dipendenti della Pubblica amministra­zione sono fannulloni», come ricorda la stessa Madia. Ma dai vigili urbani di Roma assenti in massa la notte di Capodanno al loro collega di Sanremo, ripreso mentre timbrava in ciabatte e mutande per ottimizzar­e i tempi, gli esempi poco edificanti fioccano un giorno sì e l’altro pure. E invece

i licenziame­nti sono una rarità assoluta. Gli ultimi dati disponibil­i dicono che nel 2013 i procedimen­ti disciplina­ri avviati negli uffici pubblici sono stati poco meno di 7 mila. E i licenziame­nti 220. Su un totale di 3 milioni e passa di dipendenti pubblici siamo allo 0,007%. O abbiamo la burocrazia migliore del mondo oppure i conti non tornano. Ed è per questo che il governo Renzi si prepara rendere se non più severe almeno più semplici e veloci le regole che possono portare al licenziame­nto.

Già oggi la legge prevede la risoluzion­e del contratto per motivi disciplina­ri. Le cause

possibili sono sette, dopo l’ultima riforma del 2009. E la prima è proprio la «falsa attestazio­ne delle presenza in servizio». «C’è già tutto, basta applicare la legge e avere la giusta volontà politica», dice Brunetta, autore di quella riforma portata a casa al tempo della campagna sui tornelli e sul tabelle messe su interne con il tasso di assenze

ufficio per ufficio. La legge c’è. Ma secondo il governo Renzi qualcosa non va nella macchina che la dovrebbe applicare. Ed è su questo punto che il ministro Madia vuole correggere il tiro. Su tre punti. Il primo è la durata massima del procedimen­to disciplina­re. Oggi, quando può portare al licenziame­nto, può arrivare al massimo a 160 giorni. Dovrebbero scendere a 120. Il secondo correttivo è sulle conseguenz­e per chi sfora i tempi. Già oggi è prevista una durata massima per ogni passaggio della procedura: 40 giorni per la contestazi­one, altri 20 per la convocazio­ne. Il punto è che se queste

scadenze vengono sforate non succede nulla. E quindi raramente vengono rispettate. Sarebbe introdotta, invece, una sanzione per il responsabi­le del procedimen­to che non riesce a tenere la pratica nei tempi. L’ultimo correttivo è più tecnico ma forse più importante. Oggi i dirigenti sono prudenti quando devono far partire il procedimen­to, addirittur­a prudentiss­imi se possono arrivare al licenziame­nto. E questo perché se il dipendente allontanat­o impugna il provvedime­nto in tribunale e vince la causa, è proprio lui, il dirigente, ad essere responsabi­le di danno erariale. Deve pagare di tasca sua,

insomma. E la tentazione di lasciar perdere rischia di avere la meglio su tutto il resto. Per questo è possibile che il dirigente venga sollevato per legge dalla responsabi­lità personale. Lasciando naturalmen­te che, in caso di licenziame­nto annullato in tribunale, a pagare i danni sia solo lo Stato.

I correttivi dovrebbero trovare posto nel decreto che il governo emanerà nelle prossime settimane per dare attuazione alla riforma della Pubblica amministra­zione, approvata quest’estate.

I contenzios­i Nel 2013 circa 7 mila provvedime­nti disciplina­ri, con 220 licenziame­nti

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Il ministro della Pubblica amministra­zione, Marianna Madia
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