Renzi: i governatori guadagnano più di me
Prima attacca, poi annuncia il decreto per coprire il buco. D’Attorre, Galli e Folino lasciano il Pd
Stanco di incassare critiche alla «sua» legge di stabilità Matteo Renzi è passato al contrattacco e, leggendo un lungo testo scritto all’assemblea dei gruppi del Pd, ha difeso i 25 pilastri della manovra: «È la botta definitiva per rilanciare l’Italia». Poi l’attacco ai governatori, che «guadagnano tutti più del presidente del Consiglio».
Il premier vedrà i presidenti alle 18 e andrà giù duro sulla gestione delle Regioni, perché le Asl sono troppe e serve più trasparenza, perché «non c’è alcun costo standard applicato» e ci sono troppi sprechi, «troppi dislivelli nelle spese sanitarie». Lo Stato, rimprovera il premier minacciando di ricorrere anche lui alla demagogia, «non è la controparte delle Regioni». Dopo l’attacco, la svolta: tra una settimana il governo farà un decreto per salvare i bilanci regionali dopo l’intervento della Corte dei Conti. Una mossa con cui il premier conta di disarmare Chiamparino, che nelle casse del Piemonte ha un «buco» di sei miliardi.
Argomenti che non hanno convinto l’ala sinistra, tanto che oggi altri tre deputati lasceranno il gruppo per seguire le orme di Stefano Fassina. L’ex viceministro lavora a nuovi gruppi parlamentari con Sel e i fuoriusciti del Pd e sabato, dal palco del Teatro Quirino, rilancerà «Futuro a sinistra». È l’embrione di un nuovo partito, che potrebbe candidare Fassina a Roma. Scenario che Renzi mostra di non temere, convinto com’è che la «cosa rossa» sarà una «sinistra di testimonianza » , incapace di governare. «Chi va a raggiungere Landini, Camusso, Vendola, Fassina faccia pure — ha confidato a Vespa —. Io non seguo la logica del vecchio Pci, mai nemici a sinistra». Sarà scissione? «Non è in corso nessuno smottamento». Su quel fianco Renzi vede «un delirio onirico», un mix di «ideologismo e velleitarismo». Ma intanto i nemici, a sinistra, cominciano a essere parecchi. Dopo Mineo, oggi usciranno Alfredo D’Attorre, Vincenzo Folino e Carlo Galli.
Alle 21, dopo una pacca sulla spalla a Orfini, una battuta sulla Juve e un sigaro Romeo y Julieta che ha portato a Bersani da Cuba, Renzi parte in quarta. Il bersaglio grosso è il M5S. Imola? «Un flop». E l’Italicum? «Sono patetici». A metà discorso fa a pezzi la sinistra europea ed è un modo per dire che «non c’è spazio a sinistra del Pd», perché «le elezioni si vincono nelle periferie, non nei salotti». Le opposizioni «sono tristi», mentre il Pd è «il partito dell’allegria» e il suo leader nutre «cinque elementi di grande ottimismo». Le riforme, il Pil che cresce, il Jobs act che funziona, Expo «Caporetto dei gufi» e la fiducia ritrovata: «Siamo un presidio di stabilità, il Nord Est va meglio della Germania». E la spending? «Sono i tagli...». Apre a qualche aggiustamento «di dettaglio» e rivendica il taglio delle tasse: «Se volete un premier che le alza, cercatene un altro».
Basta gufi è il leitmotiv di Renzi, che sfida i dissidenti: «La stabilità è di sinistra e non è in deficit». Alla minoranza, che ha pronti dieci emendamenti, concede solo la disponibilità a ragionare sulle proposte antievasione del Nens. Ma il tetto del contante resta a 3 mila euro (non c’è nesso con l’evasione). La sua legge, insomma, è una «scommessa sulla fiducia» e Renzi ne difende con puntiglio le 25 scelte chiave. E i soldi per il Sud? «Non dite che non ci sono».