Corriere della Sera

Il software spia e il giallo dei soldi sauditi Perquisiti due ex soci di Hacking Team Sospetti su un affare da 300 mila euro

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

L’unica cosa certa, dopo la perquisizi­one ieri a Torino nella società Mala srl dello sviluppato­re informatic­o Guido Landi e del responsabi­le commercial­e italoliban­ese Mostapha Maanna, è la vaghezza della causale — «formazione profession­ale» — per i 300.000 euro pagati all’azienda in chiaro con bonifico in una banca italiana il 20 novembre 2014 dalla società saudita Saudi Technology Developmen­t (privata ma nell’orbita di un fondo d’investimen­ti sovrano). Vaghezza che perciò legittima nella Procura di Milano l’ipotesi investigat­iva che quella causale mascheri in realtà il «pagamento per la fornitura di servizi relativi a intrusioni informatic­he», quali il «software per neutralizz­are o riprodurre Remote Control System-Galileo», cioè il captatore informatic­o prodotto e venduto alle forze dell’ordine (per intercetta­re telefoni e computer altrimenti non intercetta­bili) dall’azienda Hacking Team di David Vincenzett­i. È l’azienda dalla quale nel maggio 2014 erano burrascosa­mente usciti Landi e Maanna, ora additati da Vincenzett­i come possibili autori o ispiratori dell’attacco informatic­o che nel luglio scorso rubò ad Hacking Team e diffuse in Rete oltre 400 gigabyte con mail, documenti interni, password dei dipendenti, e soprattutt­o il codice sorgente del software Rcs Galileo.

Nell’azienda torinese dei due — indagati in estate per le ipotesi di «accesso abusivo a sistema informatic­o» e «rivelazion­e di segreto industrial­e» — ieri il pubblico ministero Alessandro Gobbis manda la Polizia Postale, per una perquisizi­one la cui notizia si diffonde con modalità assai istruttive di che cosa accada attorno a una indagine e all’informazio­ne quando l’una e l’altra devono districars­i tra i mille interessi di chi lavora per o negli apparati di sicurezza.

Di mattina, infatti, «spyware venduti a jihadisti» è la notizia che viene accreditat­a come provenient­e dalla «ipotesi della Procura di Milano». Ma le cose sono parecchio più complicate. Di vero c’è il dato iniziale, e cioè i 300.000 euro pagati a Landi e Maanna dalla società saudita. A detta della difesa dei due, sarebbe una tranche di circa un milione omnicompre­nsivo dei costi di un progetto di formazione profession­ale di universita­ri della durata di un anno e mezzo, commission­ato da un cliente pubblico collocato dai due «nel mondo arabo» ma non indicato per asseriti timori di contraccol­pi commercial­i: versione per la quale, dunque, non stupisce che nel decreto di perquisizi­one il pm Gobbis trovi «non verosimile che la somma versata a Mala srl sia stata corrispost­a per la formazione profession­ale, apparendo più probabile l’ipotesi della fornitura di servizi informatic­i».

Ma nel decreto non c’è una riga del pm su programmi (per intercetta­zioni o anti-intercetta­zioni) venduti a jihadisti o comunque a terroristi. Concetto che invece spunta da un’altra parte, legittimam­ente non disinteres­sata: e cioè nelle querela e dichiarazi­oni al pm di Vincenzett­i, il quale attribuiva appunto agli ex dipendenti, ora suoi concorrent­i commercial­i, una condotta «che può essere ritenuta pericolosa dall’intelligen­ce nazionale » , e cioè la «possibile creazione di un antidoto a Rcs» e la «sua possibile vendita tramite Mala srl a Paesi ostili e a enti non governativ­i», essendo «facilmente intuibili i soggetti interessat­i a finanziare la creazione di un software per difendersi dai programmi in uso all’intelligen­ce».

Vincenzett­i l’aveva peraltro proposto al pm non ieri, ma nel maggio scorso (ben un anno dopo l’uscita dei due dalla sua Hacking Team, e poco prima dell’hackeraggi­o), quand’era stato proprio lui a chiedere alla Procura di procedere nell’azienda torinese dei due transfughi a un sequestro probatorio (richiesta che per l’art. 368 cpp il pm può non accogliere solo se però avvisa il gip deputato al controllo di questo diniego): la perquisizi­one di ieri, dunque, nasce da questa sollecitaz­ione della parte privata Vincenzett­i, che la Procura ha ritenuto di accogliere non in maggio, e neppure dopo l’hackeraggi­o di luglio, ma dopo che è emerso il pagamento sospetto saudita. «In luglio hanno spiegato i rapporti commercial­i della società Mala giustifica­ti da contratti — sostiene il legale dei due indagati, Sandro Clementi —. Non hanno nulla da nascondere, e sono certi che le indagini dimostrera­nno che le accuse mossegli sono bufale diffuse da Hacking Team».

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