Corriere della Sera

La nostra carta dei diritti di Internet non sia virtuale

- di Massimo Sideri @massimosid­eri © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ora possiamo dire di avere il «software»: ieri la Camera dei deputati ha approvato la mozione sulla Dichiarazi­one dei diritti in Internet che era stata adottata a fine luglio dalla commission­e ad hoc istituita presso la stessa Camera. Nella «Magna Carta» del web si sottolinea il ruolo di Internet come strumento di democrazia. I temi di cui si dibatte a livello internazio­nale — come la neutralità della Rete, il libero accesso, la riservatez­za dei dati (passaggio scottante di cui si sta occupando la Corte europea in relazione all’uso che ne fanno le multinazio­nali Usa), l’abolizione di ogni divario digitale e l’educazione a un uso consapevol­e di Internet — ottengono così in Italia la qualità di «diritti». Va riconosciu­to che il documento ci pone all’avanguardi­a e potrà essere usato come strumento di «pressione morale» sul governo per ottenere la difesa concreta di questi diritti. Di certo è anche il segnale di una maggiore e più generale sensibilit­à verso questi temi (ieri è stato votato all’unanimità). Allo stesso tempo non può sfuggire che con la Carta abbiamo il «software» ma ci manca ancora un po’ l’«hardware», cioè una infrastrut­tura di rete adeguata a quella che è la tabella di marcia dell’Agenda europea 2020. Internet potrà essere un diritto ma rischia di rimanere difeso da una tecnologia del 1455 (cioè stampato a caratteri mobili su carta) se non diffondere­mo sia dal punto di vista tecnico sia da quello culturale la fibra ottica. Ricordando la lezione sulla Leggerezza di Italo Calvino che già nel 1985 scriveva: «Il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware».

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