La nostra carta dei diritti di Internet non sia virtuale
Ora possiamo dire di avere il «software»: ieri la Camera dei deputati ha approvato la mozione sulla Dichiarazione dei diritti in Internet che era stata adottata a fine luglio dalla commissione ad hoc istituita presso la stessa Camera. Nella «Magna Carta» del web si sottolinea il ruolo di Internet come strumento di democrazia. I temi di cui si dibatte a livello internazionale — come la neutralità della Rete, il libero accesso, la riservatezza dei dati (passaggio scottante di cui si sta occupando la Corte europea in relazione all’uso che ne fanno le multinazionali Usa), l’abolizione di ogni divario digitale e l’educazione a un uso consapevole di Internet — ottengono così in Italia la qualità di «diritti». Va riconosciuto che il documento ci pone all’avanguardia e potrà essere usato come strumento di «pressione morale» sul governo per ottenere la difesa concreta di questi diritti. Di certo è anche il segnale di una maggiore e più generale sensibilità verso questi temi (ieri è stato votato all’unanimità). Allo stesso tempo non può sfuggire che con la Carta abbiamo il «software» ma ci manca ancora un po’ l’«hardware», cioè una infrastruttura di rete adeguata a quella che è la tabella di marcia dell’Agenda europea 2020. Internet potrà essere un diritto ma rischia di rimanere difeso da una tecnologia del 1455 (cioè stampato a caratteri mobili su carta) se non diffonderemo sia dal punto di vista tecnico sia da quello culturale la fibra ottica. Ricordando la lezione sulla Leggerezza di Italo Calvino che già nel 1985 scriveva: «Il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware».