De Castries: il Monte dei Paschi? Sì al piano, più tempo per la fusione
Il numero uno di Axa: nel 2018 lascio. La successione? «Abbiamo ottimi manager»
Tassi negativi, mondo digitale, big data, clima e grandi rischi: oggi per guidare una compagnia di assicurazioni sembra siano necessarie competenze di finanza, ma soprattutto di tecnologia e geopolitica. Impressione confermata dal colloquio con Henri de Castries, numero uno di Axa, secondo player mondiale del settore per asset con oltre 92 miliardi di ricavi, 1.300 miliardi di patrimonio gestito e 100 milioni di clienti nel mondo. Forse anche per questo il top manager, che proviene da un’antica famiglia della nobiltà francese, è presiedente del gruppo Bilderberg, alle cui conferenze i megatrend sono abituali, e dell’Institut Montaigne, think tank sull’innovazione fondato da Claude Bébéar.
Come si “sopravvive” nell’era dei tassi negativi e del Quantitative easing?
«L’impatto dei tassi per noi è graduale perché i nostri investimenti sono di lungo termine e quindi meno sensibili. Lavoriamo su pricing e mix offerto: i prodotti unit in quattro anni sono passati dal 15-20% al 30% della raccolta (con un aumento del 22% negli ultimi nove mesi) mentre il peso delle gestioni separate, le polizze più classiche, è sceso dal 40% al 15%. Detto questo, le politiche espansive della Bce sono benvenute: senza, il declino sarebbe inevitabile. Devono però essere accompagnate da riforme strutturali».
Che “voto” dà all’Italia, anche come investitore importante in bond governativi (a fine giugno 22 miliardi a valore di mercato)?
«A partire dal governo Monti, poi con Letta e in modo accelerato con Renzi, la volontà di riforma è chiara, come dimostrano Jobs act e Senato».
Come valuta la vicenda Telecom, che rinnova “vecchie” questioni finanziarie (e non solo) fra Italia e Francia? «Il business di Axa è proteggere i propri clienti, non le telecomunicazioni!».
Lei è stato critico verso Solvency II. Conferma?
«E’ un sistema imperfetto con il quale dobbiamo convivere. Non ci consente di svolgere pienamente il ruolo di investitori di lungo periodo, con i contributi a crescita e società».
I maggiori player assicurativi investono risorse in digital e big data. Voi a che punto siete?
«Digital e big data stanno cambiando alla radice il nostro mestiere. Non rimpiazzano gli agenti, anzi. Sono strumenti a loro disposizione che rivoluzionano il rapporto con i clienti, e sono fondamentali per la comprensione dei rischi e delle necessità dei consumatori. Nella trasformazione digitale abbiamo investito 950 milioni negli ultimi tre anni. A San Francisco e a Shanghai operiamo con Axa Lab, strumento per essere “connessi” con le regioni più innovative del mondo e costruire digital partnership. A Parigi e Singapore opera Data innovation lab, centro di eccellenza del gruppo nei big data».
Il mercato mondiale assicurativo è poco concentrato: la vostra quota è del 3%. Si va verso aggregazioni?
«Anzitutto non sempre chi è più grande è migliore. E poi la rivoluzione digitale suggerisce il contrario: siamo al passaggio dal cavallo all’automobile, perché comprare un altro cavallo? Noi vogliamo crescere con il digitale e diventare la Ferrari delle assicurazioni».
Puntate sull’Asia, Cina in particolare. Piani?
«L’obiettivo è 100 milioni di clienti in Asia, gran parte dei quali in Cina, entro il 2030».
E la “crisi” cinese? La strategia non cambia? «No». Axa è sponsor di Cop21, la Conferenza internazionale sul clima a Parigi in dicembre. Quali sono i vostri impegni?
«Entro il 2015 disinvestiamo dalle società più legate al carbone per 500 milioni ed entro il 2020 triplicheremo a 3 miliardi gli investimenti “green”. Del resto spinte di mercato e regolamentari faranno perdere valore agli asset più inquinanti. Un impegno condiviso da altri investitori come il fondo sovrano norvegese». E il petrolio? «Beh, è diverso dal carbone e un ragionamento sulle società oil richiede più tempo».
Quando scadrà il suo mandato nel 2018 non si candiderà per il rinnovo. Sarà una successione interna come nel passaggio da Bébéar a lei?
«Nel 2018 avrò 64 anni. Abbiamo piani di successione strutturati, un management team molto forte e numerosi talenti». Quindi? «Lo vedrete quando sarà il momento».
In Montepaschi siete il terzo socio con il 3,17%. Cosa farete in caso di aggregazione?
«Fabrizio Viola e Alessandro Profumo hanno ristrutturato, la banca ha un business profittevole, la rete è buona e legata al territorio. Il problema è il portafoglio sofferenze. Va cercata una soluzione ma alla banca va dato il tempo necessario per trovare un partner. Noi diamo supporto pieno al presidente Massimo Tononi e al board».
La Bce però spinge per un’aggregazione rapida.
«A capo della Bce c’è una persona molto ragionevole».
Volete crescere ancora in Italia?
«Siamo molto soddisfatti di quanto già fatto: la combinazione di rete agenziale, joint venture con Mps e Quixa ci posiziona estremamente bene. Sforzi e investimenti sono diretti a offrire servizi migliori e più competitivi».