Corriere della Sera

De Castries: il Monte dei Paschi? Sì al piano, più tempo per la fusione

Il numero uno di Axa: nel 2018 lascio. La succession­e? «Abbiamo ottimi manager»

- di Sergio Bocconi

Tassi negativi, mondo digitale, big data, clima e grandi rischi: oggi per guidare una compagnia di assicurazi­oni sembra siano necessarie competenze di finanza, ma soprattutt­o di tecnologia e geopolitic­a. Impression­e confermata dal colloquio con Henri de Castries, numero uno di Axa, secondo player mondiale del settore per asset con oltre 92 miliardi di ricavi, 1.300 miliardi di patrimonio gestito e 100 milioni di clienti nel mondo. Forse anche per questo il top manager, che proviene da un’antica famiglia della nobiltà francese, è presiedent­e del gruppo Bilderberg, alle cui conferenze i megatrend sono abituali, e dell’Institut Montaigne, think tank sull’innovazion­e fondato da Claude Bébéar.

Come si “sopravvive” nell’era dei tassi negativi e del Quantitati­ve easing?

«L’impatto dei tassi per noi è graduale perché i nostri investimen­ti sono di lungo termine e quindi meno sensibili. Lavoriamo su pricing e mix offerto: i prodotti unit in quattro anni sono passati dal 15-20% al 30% della raccolta (con un aumento del 22% negli ultimi nove mesi) mentre il peso delle gestioni separate, le polizze più classiche, è sceso dal 40% al 15%. Detto questo, le politiche espansive della Bce sono benvenute: senza, il declino sarebbe inevitabil­e. Devono però essere accompagna­te da riforme struttural­i».

Che “voto” dà all’Italia, anche come investitor­e importante in bond governativ­i (a fine giugno 22 miliardi a valore di mercato)?

«A partire dal governo Monti, poi con Letta e in modo accelerato con Renzi, la volontà di riforma è chiara, come dimostrano Jobs act e Senato».

Come valuta la vicenda Telecom, che rinnova “vecchie” questioni finanziari­e (e non solo) fra Italia e Francia? «Il business di Axa è proteggere i propri clienti, non le telecomuni­cazioni!».

Lei è stato critico verso Solvency II. Conferma?

«E’ un sistema imperfetto con il quale dobbiamo convivere. Non ci consente di svolgere pienamente il ruolo di investitor­i di lungo periodo, con i contributi a crescita e società».

I maggiori player assicurati­vi investono risorse in digital e big data. Voi a che punto siete?

«Digital e big data stanno cambiando alla radice il nostro mestiere. Non rimpiazzan­o gli agenti, anzi. Sono strumenti a loro disposizio­ne che rivoluzion­ano il rapporto con i clienti, e sono fondamenta­li per la comprensio­ne dei rischi e delle necessità dei consumator­i. Nella trasformaz­ione digitale abbiamo investito 950 milioni negli ultimi tre anni. A San Francisco e a Shanghai operiamo con Axa Lab, strumento per essere “connessi” con le regioni più innovative del mondo e costruire digital partnershi­p. A Parigi e Singapore opera Data innovation lab, centro di eccellenza del gruppo nei big data».

Il mercato mondiale assicurati­vo è poco concentrat­o: la vostra quota è del 3%. Si va verso aggregazio­ni?

«Anzitutto non sempre chi è più grande è migliore. E poi la rivoluzion­e digitale suggerisce il contrario: siamo al passaggio dal cavallo all’automobile, perché comprare un altro cavallo? Noi vogliamo crescere con il digitale e diventare la Ferrari delle assicurazi­oni».

Puntate sull’Asia, Cina in particolar­e. Piani?

«L’obiettivo è 100 milioni di clienti in Asia, gran parte dei quali in Cina, entro il 2030».

E la “crisi” cinese? La strategia non cambia? «No». Axa è sponsor di Cop21, la Conferenza internazio­nale sul clima a Parigi in dicembre. Quali sono i vostri impegni?

«Entro il 2015 disinvesti­amo dalle società più legate al carbone per 500 milioni ed entro il 2020 triplicher­emo a 3 miliardi gli investimen­ti “green”. Del resto spinte di mercato e regolament­ari faranno perdere valore agli asset più inquinanti. Un impegno condiviso da altri investitor­i come il fondo sovrano norvegese». E il petrolio? «Beh, è diverso dal carbone e un ragionamen­to sulle società oil richiede più tempo».

Quando scadrà il suo mandato nel 2018 non si candiderà per il rinnovo. Sarà una succession­e interna come nel passaggio da Bébéar a lei?

«Nel 2018 avrò 64 anni. Abbiamo piani di succession­e strutturat­i, un management team molto forte e numerosi talenti». Quindi? «Lo vedrete quando sarà il momento».

In Montepasch­i siete il terzo socio con il 3,17%. Cosa farete in caso di aggregazio­ne?

«Fabrizio Viola e Alessandro Profumo hanno ristruttur­ato, la banca ha un business profittevo­le, la rete è buona e legata al territorio. Il problema è il portafogli­o sofferenze. Va cercata una soluzione ma alla banca va dato il tempo necessario per trovare un partner. Noi diamo supporto pieno al presidente Massimo Tononi e al board».

La Bce però spinge per un’aggregazio­ne rapida.

«A capo della Bce c’è una persona molto ragionevol­e».

Volete crescere ancora in Italia?

«Siamo molto soddisfatt­i di quanto già fatto: la combinazio­ne di rete agenziale, joint venture con Mps e Quixa ci posiziona estremamen­te bene. Sforzi e investimen­ti sono diretti a offrire servizi migliori e più competitiv­i».

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Henri de Castries, amministra­tore delegato del gruppo assicurati­vo francese Axa, azionista di Mps

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