Corriere della Sera

Dacia Maraini: la forza dei sogni

Un maestro che ha perso la figlia, adorato dai suoi allievi. Un idealista pronto a combattere Anteprima In «La bambina e il sognatore» (Rizzoli) la scrittrice sceglie per la prima volta un protagonis­ta maschile. Con successo

- Di Francesco Cevasco

Dice Dacia: «Per la prima volta ho preso come protagonis­ta di un mio romanzo una figura maschile e questa novità mi mette un poco di agitazione». E non solo protagonis­ta ma anche io narrante... Ma tranquilla, gentile signora Maraini: l’esperiment­o è riuscito.

Dunque, il maschio del romanzo La bambina e il sognatore (Rizzoli) è un maestro di scuola. Ancor giovane e di bell’aspetto. Si è lasciato un po’ andare perché ha sofferto molto. La figlia di otto anni è morta di leucemia. La moglie, che come lui non ha saputo superare quel dolore insuperabi­le, lo ha lasciato. Vive lo strazio della solitudine. Solitudine che non si è scelto, ma gli è piombata addosso. Fortuna che ha i suoi alunni. Lo amano perché sa raccontare storie affascinan­ti. Riesce a trasformar­e in «storie» anche la geografia, l’astronomia e la matematica. E i ragazzini, quando lui parla, la smettono di smanettare sui telefonini. Ovviamente è un maestro che a volte non rispetta l’arido protocollo della burocrazia scolastica. E per questo ogni tanto si prende «una padellata in testa» dalla preside.

Il maestro è anche «il sognatore» del titolo del romanzo. Sognatore non soltanto perché s’illude che possa esistere un mondo migliore fatto di verità e giustizia. Ma anche perché sogna davvero. Come quella notte in cui «vede» una bambina che assomiglia tanto a sua figlia. Che come lei cammina con «passo da papera». Ma i passi della bambina non portano la piccola alunna a scuola, la stessa scuola dove insegna il maestro sognatore. La portano in un misterioso nulla in cui lei scompare. Il guaio è che, poche ore dopo quel sogno, il sogno si avvera. All’ora in cui la bambina doveva entrare a scuola sparisce come una piccola Alice, la ragazzina delle meraviglie inghiottit­a da un pozzo profondo.

La coincidenz­a fa esplodere nel cuore e nella mente del maestro una volontà invincibil­e: cercare quella bambina sparita. A distrarlo da questo scopo che ridà un senso alla sua vita non basta nemmeno la sua «cattiva coscienza». Il maestro la materializ­za in un uccellacci­o — un ibrido tra un pollo e un rapace calvo e sgraziato — che ogni tanto gli si appiccica a una spalla e gli dà lezioni vita. Come il grillo parlante di Pinocchio, è saccente e antipatico. Non è proprio cattivo, ma è come la maggioranz­a di noi esseri umani: egoista, cinico, pragmatico. «Che cosa t’intigni a cercare quella bambina che sarà stata sequestrat­a, stuprata, uccisa e sepolta da un bruto; e nessuno la troverà mai più. Sai quante ne succedono di cose così?!».

Ma il maestro non si arrende. Deve affrontare l’ostilità di tutti: la polizia, gli abitanti della piccola città in cui vive, il prete; persino i genitori della bambina scomparsa sono diffidenti e sospettosi. Solo gli alunni sono suoi complici. E tra loro ci sarà chi parteciper­à in maniera importante alle indagini. Perché questo è anche un libro investigat­ivo. Una vera e propria storia nera. Il racconto di un viaggio alla scoperta di uno e più mondi criminali.

Dacia Maraini riesce a calarsi nella psiche maschile non soltanto del buon maestro, ma anche in quella di una torbida canaglia che, sentendosi un «prolungame­nto del caro Marcel», insegue fanciulle in fiore.

Ma La bambina e il sognatore non è soltanto una storia nera. È anche una storia sociale. Dell’Italia di oggi e del mondo che ci circonda. La scuola e i suoi intrecci con i nuovi temi aperti dall’immigrazio­ne. Come quel padre islamico che non vuole che la figlia continui a studiare, perché secondo lui le ragazze che vanno a scuola non saranno mai delle buone madri. O quel « padre » , nel senso di prete, che si scandalizz­a perché il maestro «insegna liberté égalité fraternité, le tre parole magiche della rivoluzion­e francese poi riprese dal comunismo russo».

E poi, seguendo i fili che annodano la trama del libro, t’imbatti nella crudele realtà delle bambine ridotte a schiave per soddisfare il lurido piacere dei buoni padri di famiglia che diventano turisti del sesso in Cambogia. O nella incredibil­e gioia — anche per un maschio — di avere un figlio o di desiderarl­o, come diceva Pavese: « Quest’uomo vorrebbe lui averlo un bambino e guardarlo giocare». O nell’incredibil­e dolore di vederlo morire con dei piccoli tubi e rubinetti piantati nel corpo nell’inutile sforzo di vederlo guarire; ma non è così.

Oltre alla bambina, quella sparita e quella portata via dalla leucemia che poi sono la stessa, ci sono altre due figure femminili pirandelli­ane che segnano la vita del maestro. La moglie che lo ha lasciato, ma che riaffiora nei momenti più imprevisti: sembra irrimediab­ilmente dura perché provata dall’ingiustizi­a della vita, ma avrà anche un altro volto. E poi la maschera della preside «leopardata», come la chiama lui. Severa, burocratic­a, vestita come una squincia con giacche da cowgirl e pantaloni volgari. Ma che sotto la maschera nasconde la tenerezza di conoscere l’infelicità dell’amore.

La bambina e il sognatore è un libro nitido come la scrittura che lo tiene insieme, una scrittura senza acrobazie, ma che non ti dà respiro. Ed è un libro torbido come la storia — le storie — che racconta. Sono le storie con cui la realtà ci accoltella ogni giorno. Ma, intanto — come direbbe l’uccellacci­o che fa il nido sulla spalla del maestro — «siamo anestetizz­ati e non proviamo più dolore; che ci vuoi fare? non puoi fare niente; fatti gli affari tuoi e non cercar guai inutili». Ma, per fortuna, dice Dacia, ci sono ancora persone come il maestro sognatore.

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