Al Mig di Castronuovo di Sant’Andrea (Potenza) l’opera grafica di due protagonisti del Novecento «Ricordati che sei giapponese» Il sodalizio tra Marini e Azuma
vevo trent’anni, un’e t à o g g i inimmaginabile per iscriversi all’Accademia di Belle arti di Brera; ma lo feci con determinazione e serenità. Sapevo che era quella la strada da seguire per diventare un vero artista», scrive Azuma, nel gennaio 2005 ( L’orgoglio di essere artista) sulla rivista «Colophon».
Nato a Yamagata nel 1926, il giapponese Kengiro Azuma (in italiano Kengiro vuol dire «secondogenito» e Azuma «mia moglie») approda a Milano nel 1956 con una borsa di studio del governo italiano. Alle spalle si lascia un ciclo di studi interrotto a 17 anni per arruolarsi nelle truppe d’assalto della Marina. Segue i corsi per piloti di aerei siluranti, che, finite le torpedini, si trasformano in kamikaze. Eroi a tutti i costi: gli inseg n a n o c h e l’imperatore è un dio per il quale è un onore immolarsi. E per evitare ripensamenti, viene fornito il carburante di sola andata. La guerra finisce nel 1945, un paio di giorni prima della partenza senza ritorno di Kengiro ed egli riprende gli studi.
Fra i suoi insegnanti all’università di Tokyo, due allievi di Despiau e Maillol — che hanno seguito i corsi dei due scultori a Parigi — gli aprono nuovi orizzonti sull’arte europea. Un altro, Atsuo Imaizumi, di cui Azuma è allievo e assistente, lo ospita nella propria casa in cambio di lavoretti in giardino e di qualche commissione. Nel ’52, il docente visita a New York una mostra di sculture di Marino Marini cui, proprio quell’anno, è assegnato il Gran premio per la Scultura alla Biennale di Venezia; e trasmette al giovane il suo entusiasmo. Che diventa ammirazione incondizionata
Sopra, a sinistra:
(acquaforte, 2010) di Kengiro Azuma. A destra: quando, l’anno dopo, l’artista italiano espone a Tokyo.
A Kengiro i cavalli di Marino Marini ricordano quelli dei palazzi imperiali e delle tombe orientali; le pomone diventano il punto di riferimento per le sue prime figure femminili. Così, al momento di chiedere una borsa di studio per l’Europa, Azuma opta per Milano invece dell’idea originaria di Parigi. Marino non ha figli e gli fa tenerezza questo giapponesino che ad un’età in cui non si entra all’Accademia, ma se ne esce, ha deciso di seguire il suo corso di scultura a Brera.
Kengiro, nato in una famiglia di artigiani di bronzo, porta ancora i segni dello choc bellico, ma volontà e testardaggine lo aiutano. Marino lo prende come assistente personale. « Ma non avevo un’identità, scolpivo come Marino Marini, ero una specie di ridicolo doppione. Lui non mi diceva di non copiare. Però ogni tanto, se ne usciva così: “Azuma, ricordati che sei giapponese”. Poi, un giorno, nella stanza dove il giovane abita, frana una pila di cassette da bruciare. La casuale disposizione gli suggerisce una nuova cadenza ritmica.
È il periodo, questo, del sodalizio con Lucio Fontana. Così se dello scultore toscano Azuma capta l’humus, dell’italo-argentino fiuta la geometria. Ma il ritmo, l’impronta di triangoli, cubi, spirali, coni e quant’altro sono suoi. Così egli si reimpossessa della natura. Piante e metallo si integrano. I suoi «racconti» in giardino («La scultura è come un canto che avverto dentro») creano una sorta di recitativo con gesti e movimenti appena percettibili degli attori del teatro No. L’azione interessa uomini, uccelli, alberi, foglie, canne. Elementi estetici e spirituali testimoniano della capacità dell’artista di far convivere la cultura del Sol Levante con quella europea.
Marino è felice che l’allievo, con cui ha un rapporto paterno, artisticamente si sia staccato da lui ed abbia trovato la propria strada. Capisce che non ha
(litografia, 1957) di Marino Marini più nulla da insegnargli. Kengiro gli è sempre allato. Come assistente? Piuttosto, come uno di famiglia (ha chiamato la prima figlia Mami, unendo le prime due lettere di Marino e Milano). Un sodalizio durato sino alla scomparsa dello scultore toscano, avvenuta il 6 agosto 1980, a 79 anni. «Quando morì — ricorderà con commozione Azuma — volle che mentre spirava gli fossi accanto, assieme a sua moglie, a tenergli la mano: lei da un lato e io dall’altro». Una sorpresa gli verrà dal testamento: Marino gli lascia la propria casa milanese di via Cernaia.
Tra qualche mese (in marzo) lo scultore compirà 90 anni. E il Mig ( Museo internazionale della grafica) di Castronuovo di Sant’Andrea, in Basilicata, ha deciso di dedicare (sino al 5 dicembre) ai due maestri un’antologica della loro opera grafica a partire dagli anni Settanta, cui si aggiungono degli olî di Marino degli anni Trenta. Al mondo arcaico dello scultore toscano fanno da pendant i misteri orientali d’un orientale occidentalizzato.
Azuma, che a marzo compirà 90 anni, era come un figlio per Marini: lo vide spirare