Corriere della Sera

Al Mig di Castronuov­o di Sant’Andrea (Potenza) l’opera grafica di due protagonis­ti del Novecento «Ricordati che sei giapponese» Il sodalizio tra Marini e Azuma

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

vevo trent’anni, un’e t à o g g i inimmagina­bile per iscriversi all’Accademia di Belle arti di Brera; ma lo feci con determinaz­ione e serenità. Sapevo che era quella la strada da seguire per diventare un vero artista», scrive Azuma, nel gennaio 2005 ( L’orgoglio di essere artista) sulla rivista «Colophon».

Nato a Yamagata nel 1926, il giapponese Kengiro Azuma (in italiano Kengiro vuol dire «secondogen­ito» e Azuma «mia moglie») approda a Milano nel 1956 con una borsa di studio del governo italiano. Alle spalle si lascia un ciclo di studi interrotto a 17 anni per arruolarsi nelle truppe d’assalto della Marina. Segue i corsi per piloti di aerei siluranti, che, finite le torpedini, si trasforman­o in kamikaze. Eroi a tutti i costi: gli inseg n a n o c h e l’imperatore è un dio per il quale è un onore immolarsi. E per evitare ripensamen­ti, viene fornito il carburante di sola andata. La guerra finisce nel 1945, un paio di giorni prima della partenza senza ritorno di Kengiro ed egli riprende gli studi.

Fra i suoi insegnanti all’università di Tokyo, due allievi di Despiau e Maillol — che hanno seguito i corsi dei due scultori a Parigi — gli aprono nuovi orizzonti sull’arte europea. Un altro, Atsuo Imaizumi, di cui Azuma è allievo e assistente, lo ospita nella propria casa in cambio di lavoretti in giardino e di qualche commission­e. Nel ’52, il docente visita a New York una mostra di sculture di Marino Marini cui, proprio quell’anno, è assegnato il Gran premio per la Scultura alla Biennale di Venezia; e trasmette al giovane il suo entusiasmo. Che diventa ammirazion­e incondizio­nata

Sopra, a sinistra:

(acquaforte, 2010) di Kengiro Azuma. A destra: quando, l’anno dopo, l’artista italiano espone a Tokyo.

A Kengiro i cavalli di Marino Marini ricordano quelli dei palazzi imperiali e delle tombe orientali; le pomone diventano il punto di riferiment­o per le sue prime figure femminili. Così, al momento di chiedere una borsa di studio per l’Europa, Azuma opta per Milano invece dell’idea originaria di Parigi. Marino non ha figli e gli fa tenerezza questo giapponesi­no che ad un’età in cui non si entra all’Accademia, ma se ne esce, ha deciso di seguire il suo corso di scultura a Brera.

Kengiro, nato in una famiglia di artigiani di bronzo, porta ancora i segni dello choc bellico, ma volontà e testardagg­ine lo aiutano. Marino lo prende come assistente personale. « Ma non avevo un’identità, scolpivo come Marino Marini, ero una specie di ridicolo doppione. Lui non mi diceva di non copiare. Però ogni tanto, se ne usciva così: “Azuma, ricordati che sei giapponese”. Poi, un giorno, nella stanza dove il giovane abita, frana una pila di cassette da bruciare. La casuale disposizio­ne gli suggerisce una nuova cadenza ritmica.

È il periodo, questo, del sodalizio con Lucio Fontana. Così se dello scultore toscano Azuma capta l’humus, dell’italo-argentino fiuta la geometria. Ma il ritmo, l’impronta di triangoli, cubi, spirali, coni e quant’altro sono suoi. Così egli si reimposses­sa della natura. Piante e metallo si integrano. I suoi «racconti» in giardino («La scultura è come un canto che avverto dentro») creano una sorta di recitativo con gesti e movimenti appena percettibi­li degli attori del teatro No. L’azione interessa uomini, uccelli, alberi, foglie, canne. Elementi estetici e spirituali testimonia­no della capacità dell’artista di far convivere la cultura del Sol Levante con quella europea.

Marino è felice che l’allievo, con cui ha un rapporto paterno, artisticam­ente si sia staccato da lui ed abbia trovato la propria strada. Capisce che non ha

(litografia, 1957) di Marino Marini più nulla da insegnargl­i. Kengiro gli è sempre allato. Come assistente? Piuttosto, come uno di famiglia (ha chiamato la prima figlia Mami, unendo le prime due lettere di Marino e Milano). Un sodalizio durato sino alla scomparsa dello scultore toscano, avvenuta il 6 agosto 1980, a 79 anni. «Quando morì — ricorderà con commozione Azuma — volle che mentre spirava gli fossi accanto, assieme a sua moglie, a tenergli la mano: lei da un lato e io dall’altro». Una sorpresa gli verrà dal testamento: Marino gli lascia la propria casa milanese di via Cernaia.

Tra qualche mese (in marzo) lo scultore compirà 90 anni. E il Mig ( Museo internazio­nale della grafica) di Castronuov­o di Sant’Andrea, in Basilicata, ha deciso di dedicare (sino al 5 dicembre) ai due maestri un’antologica della loro opera grafica a partire dagli anni Settanta, cui si aggiungono degli olî di Marino degli anni Trenta. Al mondo arcaico dello scultore toscano fanno da pendant i misteri orientali d’un orientale occidental­izzato.

Azuma, che a marzo compirà 90 anni, era come un figlio per Marini: lo vide spirare

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Goccia
 ??  ?? Cavallo e cavaliere
Cavallo e cavaliere

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