L’anima di Frankenstein Soffre per le violenze della genetica nel nuovo film di Rose Dal bruto Karloff a De Niro, così cambia un mito del cinema Emozioni
Stavolta nascerà dal nulla. O meglio da una stampante 3D. Cellula dopo cellula, strati di pelle, vasi sanguigni e terminazioni nervose assemblati uno via l’altro… Nella Los Angeles di oggi due scienziati, un uomo e una donna, immettono tutti i dati nel computer, poi premono il pulsante. E la Creatura spunta lì, sul tavolo del laboratorio, perfettamente formata. Come sei bello, mormora lei stupefatta, come una madre che per la prima volta vede il suo bimbo. In effetti Adam, il giovanotto bio stampato si presenta bene: biondo, aitante, bocca da baciare. Niente a che vedere con il vecchio Mostro originario, ricucito alla buona con pezzi di cadavere riesumati. Il nuovo Frankenstein di Bernard Rose, che ieri ha aperto il 15esimo Festival della Fantascienza di Trieste, lascerebbe ben sperare sui progressi della scienza, che con il 3D già sta sperimentando pezzi di ricambio umani.
Ma non tutte le cyber cellule riescono con il buco. Il bel neonato non fa in tempo a svezzarsi, a passare dal biberon alla pappetta, che sulla sua cute perfetta spuntano bubboni e pustole repellenti. Un crescendo inarrestabile di tumori e piaghe che convincono i suoi improvvidi demiurghi a lasciar perdere e sopprimerlo. Ma l’iniezione letale non basta ad archiviare il meccanismo della vita. Sul tavolo dell’autopsia Adam si risveglia. Sfigurato, furibondo, deciso a chieder conto di tanto dolore a chi l’ha messo al mondo.
Xavier Samuel, attore austra- liano già uso a ruoli dark (era il vampiro Riley in The Twilight Saga: Eclipse) usa bene i suoi tratti gentili e deformi per rendere l’amore e l’odio di una povera Creatura verso un Creatore sconsiderato. «Di questa storia terribile, scritta 200 anni fa da Mary Shelley, mi interessava il punto di vista del Mostro — spiega Bernard Rose, già regista di Candyman e Il violinista del Diavolo —. Volevo entrare nella sua testa, sentire la sua confusione e il suo dolore. Da povero essere spaventato, scaraventato in un mondo sconosciuto, usato come cavia da uno dei tanti dottor Frankenstein di oggi, pronti a giocare con la genetica. Mentre lui ha una sua vita interiore. È vivo, prova emozioni come noi. E noi proviamo compassione per lui, per l’ingiustizia della sua nascita, per le violenze e che deve subire, per la sofferenza nel sentirsi rifiutato».
Il farsi creatore, sogno e incubo ricorrente dell’umanità, mai come ora, sostiene il regista inglese, è diventato reale. «I dottor Frankenstein di oggi sembrano davvero sul punto di sostituirsi a Dio. Far nascere artificialmente la carne, riprodurre pezzi di corpo umano, non è più fantascienza. La parola “creare” assume ormai un nuovo senso, ma le domande restano le stesse: chi sono? Da dove vengo? Perché sono qui?».
Frankenstein torna a interrogarci. Moderno Prometeo, ci mette in guardia sulla presunzione di una scienza che, stordita dall’onnipotenza, spesso dimentica il rispetto per l’essere vivente. Anche il più disgraziato. «Un tema cardine, non a caso ripreso così tante volte dal cinema — ricorda Rose —. Boris Karloff, prima leggendaria Creatura del grande schermo, ha segnato il nostro immaginario. Ma quel film del 1931 è anche il più lontano dal celebre racconto di Mary Shelley. Dove non si parla di rianimare cadaveri ma di creare la vita».
E se Frankenstein spinge sempre più in là le sue tentazioni, anche il Mostro cambia sembianze e anima. Da bruto senza barlume di intelligenza, modello Karloff, Lon Chaney jr, Christopher Lee, agli infiniti Frankenstein di grottesca ottusità anni 50 e 60, quando il nostro eroe rattoppato si ritrovava a carico di volta in volta una moglie, un figlio, una figlia, sfidava Dracula e mostri spaziali. Ci voleva il genio di Mel Brooks per mostrare in Frankenstein Junior l’inatteso lato comico di un Mostro di scarso cervello ma di enorme « schwanzstuck», termine yiddish dal significato facilmente intuibile. Di fine anni 90 è il Frankenstein di Branagh, con De Niro Creatura sfregiata nel volto e nell’anima, malata di infelicità. Preludio di una riabilitazione esistenziale del Mostro.
Che ora, in un altro film prossimamente in uscita, Victor Frankenstein di Paul McGuigan, metterà a confronto lo scienziato che lo mette al mondo, James McAvoy, con il suo assistente Igor, qui Daniel Radcliffe, rileggendo la vicenda dal punto di vista di quest’ultimo. Che gobbo e malandato qual è, si sente più vicino alla Creatura che al suo maniaco datore di lavoro. Perché alla fine quel Mostro siamo noi.
Anteprima al Festival della Fantascienza Il regista: volevo entrare nella sua testa