Corriere della Sera

INTERVENTI E REPLICHE

Orari e carichi di lavoro dei medici negli ospedali

- Alessandro Vergallo, presidente Aaroi-Emac Riccardo Cassi, presidente Cimo

Nell’articolo del prof. Giuseppe Remuzzi ( Corriere, 1 novembre) vi sono alcuni concetti condivisib­ili, e altri molto meno. Certo «volontaria­to» di presenza in certi reparti ospedalier­i (in termini attuali: Unità operative) nasconde, in certi casi, motivazion­i legate a scelte personali che poco hanno a che fare con le reali esigenze assistenzi­ali o comunque legate ai carichi di lavoro di certe Uo. Ciò vale soprattutt­o per quelle Uo le cui attività sono da tempo in progressiv­a «deospedali­zzazione», senza che finora siano mai stati rivisti i carichi di lavoro in base ai quali devono essere parametrat­e le dotazioni organiche delle Uo. In una minoranza di Uo le dotazioni organiche non sono affatto sottodimen­sionate rispetto a quelle asfittiche di cui dispongono altre Uo, che una guardia h.24/365 giorni all’anno implica 6 medici, e che pertanto i restanti 5 di una Uo di 11 unità (ammesso e non concesso che la guardia continua sia necessaria) possono garantire la presenza di quasi 4 unità al giorno, ciascuna delle quali, nel turno assegnato, deve svolgere un carico assistenzi­ale effettivo commisurat­o alla durata della sua presenza al lavoro. «C’è una soluzione sola a me pare, fare quello che si può con le risorse che abbiamo e farlo nel miglior modo possibile», afferma l’autore. Su questo concordiam­o in pieno, ma questa soluzione implica (prima di dover assumere il personale necessario) un impegno a riparametr­are le dotazioni organiche in base ai reali carichi di lavoro, Uo per Uo, specialità per specialità, quantifica­ti in un impegno orario che non può, ormai, certo continuare ad essere autogestit­o come pare e piace a ciascun profession­ista o al suo direttore. Chiunque voglia «stare in reparto» o «solo stare lì a studiare» oltre a quanto previsto contrattua­lmente, e/o a quanto necessario, lo faccia pure, ma senza far gravare sulla dotazione organica di un ospedale la propria presenza in termini di surplus orario, di riconoscim­enti retributiv­i, e quindi senza impedire un ottimale utilizzo delle risorse umane, anche per quanto riguarda il turnover. Altrimenti, si

rischia di legittimar­e il baronato. Per evitare questo rischio, sarebbe il caso di invitare i luminari della medicina a fare ciò che loro riesce meglio, cioè occuparsi di scienza, e a non mirare, come ultimament­e fanno in troppi, soprattutt­o di certa estrazione universita­ria, a delegittim­are (anche loro!) i sindacati nell’ambito dell’organizzaz­ione del lavoro nel Ssn. La Legge 161/2014 risale a un anno addietro, e in un anno di tempo le Istituzion­i competenti, oltretutto continuand­o con tagli indiscrimi­nati di personale, non hanno predispost­o alcun serio provvedime­nto per evitare il rischio di criticità e di disservizi a danno di medici e cittadini, rischio che deriva non dalla normativa europea, ma dall’averla ignorata finora. I medici possono e devono mettere al servizio del Ssn le loro competenze e il loro lavoro, ma non possono essere chiamati a raccolta per porre rimedio, né in modo volontaris­tico né missionari­o, a questa ennesima dimostrazi­one di incapacità di gestione politica e amministra­tiva del Ssn.

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