INTERVENTI E REPLICHE
Orari e carichi di lavoro dei medici negli ospedali
Nell’articolo del prof. Giuseppe Remuzzi ( Corriere, 1 novembre) vi sono alcuni concetti condivisibili, e altri molto meno. Certo «volontariato» di presenza in certi reparti ospedalieri (in termini attuali: Unità operative) nasconde, in certi casi, motivazioni legate a scelte personali che poco hanno a che fare con le reali esigenze assistenziali o comunque legate ai carichi di lavoro di certe Uo. Ciò vale soprattutto per quelle Uo le cui attività sono da tempo in progressiva «deospedalizzazione», senza che finora siano mai stati rivisti i carichi di lavoro in base ai quali devono essere parametrate le dotazioni organiche delle Uo. In una minoranza di Uo le dotazioni organiche non sono affatto sottodimensionate rispetto a quelle asfittiche di cui dispongono altre Uo, che una guardia h.24/365 giorni all’anno implica 6 medici, e che pertanto i restanti 5 di una Uo di 11 unità (ammesso e non concesso che la guardia continua sia necessaria) possono garantire la presenza di quasi 4 unità al giorno, ciascuna delle quali, nel turno assegnato, deve svolgere un carico assistenziale effettivo commisurato alla durata della sua presenza al lavoro. «C’è una soluzione sola a me pare, fare quello che si può con le risorse che abbiamo e farlo nel miglior modo possibile», afferma l’autore. Su questo concordiamo in pieno, ma questa soluzione implica (prima di dover assumere il personale necessario) un impegno a riparametrare le dotazioni organiche in base ai reali carichi di lavoro, Uo per Uo, specialità per specialità, quantificati in un impegno orario che non può, ormai, certo continuare ad essere autogestito come pare e piace a ciascun professionista o al suo direttore. Chiunque voglia «stare in reparto» o «solo stare lì a studiare» oltre a quanto previsto contrattualmente, e/o a quanto necessario, lo faccia pure, ma senza far gravare sulla dotazione organica di un ospedale la propria presenza in termini di surplus orario, di riconoscimenti retributivi, e quindi senza impedire un ottimale utilizzo delle risorse umane, anche per quanto riguarda il turnover. Altrimenti, si
rischia di legittimare il baronato. Per evitare questo rischio, sarebbe il caso di invitare i luminari della medicina a fare ciò che loro riesce meglio, cioè occuparsi di scienza, e a non mirare, come ultimamente fanno in troppi, soprattutto di certa estrazione universitaria, a delegittimare (anche loro!) i sindacati nell’ambito dell’organizzazione del lavoro nel Ssn. La Legge 161/2014 risale a un anno addietro, e in un anno di tempo le Istituzioni competenti, oltretutto continuando con tagli indiscriminati di personale, non hanno predisposto alcun serio provvedimento per evitare il rischio di criticità e di disservizi a danno di medici e cittadini, rischio che deriva non dalla normativa europea, ma dall’averla ignorata finora. I medici possono e devono mettere al servizio del Ssn le loro competenze e il loro lavoro, ma non possono essere chiamati a raccolta per porre rimedio, né in modo volontaristico né missionario, a questa ennesima dimostrazione di incapacità di gestione politica e amministrativa del Ssn.