Corriere della Sera

Le bacchettat­e di Muti

Lo sfogo in occasione dell’apertura del museo che espone gli oggetti di Toscanini L’ira del maestro: direttori improvvisa­ti e vestiti da pellerossa Le regie? Affidate a imbecilli che inventano storiacce infami

- Giuseppina Manin

Prima di alzare il braccio occorre una grande formazione musicale Oggi invece quando un cantante non ha più voce ecco che sale sul podio

Ci voleva Toscanini per far tornare Riccardo Muti a Milano. Occasione l’inaugurazi­one dell’esposizion­e permanente al Conservato­rio di oggetti e ricordi del grande maestro, simbolo indiscusso della Scala. Un tesoro salvato e donato alla città grazie a un comitato di privati guidato proprio da Muti. Che di tasca sua ha voluto offrire il pezzo più simbolico, il frac di Toscanini. Per Muti, dopo il tempestoso addio con la Scala del 2005, un rientro festoso in una delle principali istituzion­i milanesi, là dove oltre mezzo secolo fa lui aveva studiato composizio­ne con Bruno Bettinelli e direzione d’orchestra con Antonino Votto. «Milano e il Conservato­rio sono due elementi fondanti della mia attività artistica» ricorda il maestro, arrivato insieme con il sovrintend­ente Alexander Pereira. Che da tempo lo corteggia per riportarlo alla Scala.

Su questo punto i due non si sbilancian­o ma ammiccano. «Un concerto non basta certo per un nome come il suo», si lascia sfuggire Pereira. E Muti, un po’ sornione, su un suo prossimo ritorno ci scherza su citando il Padre Guardiano de La forza del destino: «Chi può legger nel futuro?». Ma a guardar bene nella sfera di cristallo, sembra proprio che un’opera alla Scala lo stia aspettando. Forse un titolo della trilogia Mozart-Da Ponte? O di quel repertorio napoletano a lui tanto caro? Chissà.

Intanto la conversazi­one su Toscanini dà spunto al maestro per qualche frecciatin­a. Per esempio sulla moda di invitare nei teatri, anche nei più prestigios­i, direttori «improvvisa­ti». «Toscanini, diplomato in violino, pianoforte, composizio­ne, ci insegna che bisogna avere una grande formazione musicale prima di alzare il braccio. Una lezione purtroppo dimenticat­a. Oggi i direttori spuntano come funghi. Quando un cantante non ha più voce, un flautista non ha più fiato, ecco che prende in mano la bacchetta. Eppure la mancanza di preparazio­ne è uno dei grandi problemi dei teatri oggi. Vero Alexander?» chiede a Pereira, che abbozza un sorriso un po’ tirato.

«Non basta — incalza Muti —, i cantanti si lamentano di non ricevere più dal direttore le indicazion­i necessarie. La prima vera traccia di regia è musicale, mentre ora si affida tutto a qualche imbecille che stravolge il libretto e inventa una storiaccia infame, declassand­o la musica a colonna sonora » . Ogni riferiment­o a allestimen­ti stravagant­i non è casuale.

Ma anche sulla preparazio­ne dei cantanti ha da ridire. E Toscanini è di nuovo la pietra di paragone. «Per il Falstaff aveva in mente un giovane baritono, Mariano Stabile. Chiamò Votto: “Preparamel­o per sei mesi poi portamelo a casa mia, in via Durini, per l’audizione”. Così avvenne, e Toscanini confermò la sua idea che quella era la giusta voce. “Lavori ancora sei mesi con il maestro Votto e poi ci vediamo a teatro”, gli disse congedando­lo. Oggi con la musica si corre, allora si scavava. E questo era un tratto distintivo della nostra scuola italiana. Che era grande proprio per la profondità di lettura e l’accuratezz­a ne dettagli».

Rigore e inflessibi­lità, come voleva Toscanini. «La vera italianità è questa, non l’approssima­zione o il dilettanti­smo. La musica non ha confini, ma le radici sono fondamenta­li. Non dobbiamo mai scordarcel­e».

Infine, il fantasma del frac batte un colpo. «È vero, ci fa sentire un po’ pinguini ma è la nostra tenuta da lavoro. Ci ricorda che la forma è contenuto e l’abito fa il monaco. Quel frac di Toscanini è importante perché lì dentro ogni sera lui racchiudev­a il suo corpo. Quel panno nero, quello sparato bianco, quella fascia che ti stringe la vita e ti impaccia un po’, sono intrisi dal suo sudore, dalla sua passione, dalle sue ire furibonde. Trasmetton­o emozioni e evocano ricordi. Mai oserei indossarlo... Ma il frac sta sparendo. I nuovi direttori non lo usano più, ormai salgono sul podio in tutti i modi, persino vestiti da pellerossa, con borchie e stivaletti… I tempi sono cambiati, forse il frac è obsoleto. Ma il decoro no. Sia per il maestro sia per il pubblico. Non è una stoccata a te, Alexander» ride alludendo alle recenti maglie larghe scaligere in fatto di abbigliame­nto. «Il fatto è — conclude serio — che il rispetto reciproco passa anche dal vestito».

 ??  ?? Orchestra Riccardo Muti è nato a Napoli, il 28 luglio 1941: il suo tempestoso addio alla Scala risale al 2005, dal 2010 è music director della Chicago Symphony Orchestra
Orchestra Riccardo Muti è nato a Napoli, il 28 luglio 1941: il suo tempestoso addio alla Scala risale al 2005, dal 2010 è music director della Chicago Symphony Orchestra
 ??  ?? Insieme Riccardo Muti (74 anni) con il sovrintend­ente e direttore artistico della Scala Alexander Pereira (68)
Insieme Riccardo Muti (74 anni) con il sovrintend­ente e direttore artistico della Scala Alexander Pereira (68)

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