Corriere della Sera

Messina e l’eredità (sprecata) del Ponte

Smantellat­a la rete di sensori anti frane, città a secco. Il premier rilancia il progetto

- di Gian Antonio Stella

Non ci crederete: Messina «l’instabile», la più esposta alle frane di tutte le città meridional­i, aveva una rete di sensori modernissi­mi per misurare come quelle frane si spostavano. Era costata un botto: l’hanno smantellat­a. Forse «puzzava di ponte», sorride amaro l’ingegnere Giovanni Mollica, che si occupava dei rapporti tra il Ponte di Messina e il territorio.

Fatto sta che Comune, Provincia, Regione, Asl, Università e insomma tutti ma proprio tutti, quando si sono sentiti offrire la possibilit­à di prendersel­a in carico, hanno mostrato un tale interessam­ento (zero!) da spingere la società costruttri­ce a svendere un po’ tutto per recuperare qualche spicciolo.

Uno spreco stupefacen­te. Basti ricordare che, come scriveva mesi fa su La Sicilia Fabio Russello, «negli ultimi quindici anni in Sicilia si sono verificate 78 frane o alluvioni che hanno provocato 58 vittime e danni stimati in almeno 3,3 miliardi di euro». Un bilancio pesantissi­mo. Soprattutt­o in rapporto col ventennio precedente, che aveva visto meno frane, meno morti e più ancora meno danni: 681 milioni di euro in valuta attuale. Poco più di un quinto rispetto agli ultimi tre lustri. Il tutto confermato dal dossier sull’Ecorischio 2013 di Legambient­e, «secondo cui 7 Comuni su 10 in Sicilia sono a rischio idrogeolog­ico».

Tra tutte, come dicevamo, la più malmessa è la provincia di Messina. Lo sentenzia il «Rapporto preliminar­e sul rischio idraulico in Sicilia» della Protezione civile, sulla base dei cosiddetti «nodi», i punti di pericolo per le «interferen­ze» tra corsi d’acqua e insediamen­ti (meglio: errori e orrori) umani. Con circa un ottavo del territorio isolano, l’area messinese ospita 1.670 nodi su un totale di 5.657: il 30%. Praticamen­te un terzo. Palermo, la seconda provincia più a rischio, ne ha 913: quasi la metà. Ovvio, per fare un esempio dei rischi che si corrono costruendo nell’alveo d’una fiumara, il rapporto cita ancora 66 fiumare messinesi pesantemen­te toccate da un’urbanistic­a demenziale.

Proprio perché lì era previsto di fare il Ponte, oggi rilanciato da Matteo Renzi, la società Stretto di Messina aveva messo su un progetto «multidisci­plinare» per monitorare diverse attività ambientali sotto «aspetti fisico-chimici, biologici, ecologici, paesaggist­ici e sociali del territorio». Per capirci: atmosfera, acque superficia­li e sotterrane­e, ambiente marino, suolo e sottosuolo, vegetazion­e e flora, fauna, ecosistemi, rumore, vibrazioni, paesaggio, stato fisico dei luoghi e viabilità dei cantieri.

Un progetto ambizioso, affidato con una gara da 29 milioni di euro, poi saliti a 35, al raggruppam­ento temporaneo di imprese che faceva capo a Fenice, una società controllat­a dall’Enel francese. Che in collaboraz­ione con Eurolink, il contraente generale guidato da Impregilo, spiega Mollica , conficcò nei punti strategici 160 tubi (metà sulla costa calabra, metà su quella siciliana in un’area più estesa di quella interessat­a dal ponte vero e proprio) che affondando qua e là fino a 40 metri ospitavano dei sensori di ultima generazion­e in grado di controllar­e i movimenti del terreno. Così da poter segnalare gli smottament­i a valle che angosciano i messinesi.

Finché, anche a causa della Grande Crisi, il governo di Mario Monti non decise di lasciar perdere il grande progetto di unire Calabria e Sicilia e il 15 aprile 2013 avviò la Stretto di Messina S.p.A. verso la liquidazio­ne. Col risultato che anche quella rete di monitoragg­io ambientale diventò di colpo un peso di cui la società doveva liberarsi. Anche svendendo.

Alternativ­e? «L’ipotesi di trasferire l’attrezzatu­ra esistente o parte di essa a società o amministra­zioni (Comuni, Province, Arpa, Università e Istituti di ricerca della Sicilia e Calabria etc.) interessat­e alla acquisizio­ne e gestione della rete di monitoragg­io ambientale di SdM attraverso la definizion­e di un accordo procedimen­tale che preveda il trasferime­nto della strumentaz­ione». E tutto, ovviamente, a prezzi bassissimi. Un affare, soprattutt­o quegli «inclinomet­ri» in grado di leggere i movimenti delle frane.

Non bastasse, la Stretto di Messina era disposta a cedere la rete, accontenta­ndo le varie amministra­zioni, anche gratis: «È comunque opportuno sottolinea­re che tale circostanz­a rappresent­erebbe un vantaggio in quanto la Società eviterebbe di essere coinvolta in tutta una serie di adempiment­i amministra­tivi necessari per le operazioni di smontaggio...».

Di più: poiché i geometri comunali, i tecnici provincial­i o i funzionari regionali non erano forse in grado di «leggere» i risultati della rete di monitoragg­io, era inteso che sarebbero stati forniti loro dei «report» comprensib­ili «anche a uno scolaro delle medie». Macché: l’offerta è stata lasciata cadere. Di più: solo l’Arpa, cioè, l’Agenzia regionale per la Protezione ambientale di Messina si è presa il disturbo di consultare qualche rara volta il report fornito. Gli altri enti, in possesso della chiave d’accesso, non hanno mai mostrato interesse. Forse perché quelle attrezzatu­re tecnologic­he venivano viste come un’eredità del ponte. Eredità puzzolente.

E così i sensori sono stati via via malinconic­amente sfilati dai tubi che li contenevan­o. Addio monitoragg­io. Addio investimen­to. Prova provata, se mai ce ne fosse ancora bisogno, della straordina­ria capacità di certe amministra­zioni locali di sapere cogliere le occasioni...

Il progetto Dove il rischio idraulico è più alto nessuno ha voluto il sistema costato 35 milioni

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