Corriere della Sera

Le obiezioni inascoltat­e

Dai primi sospetti sul monsignore e la pierre fino all’attacco al cardinale Pell

- Di Massimo Franco

Icanali istituzion­ali vaticani avevano espresso riserve fin dal 2013 sulle candidatur­e di monsignor Balda e di Maria Chaouqui. Ma le obiezioni furono sottovalut­ate.

Idubbi erano emersi fin dall’inizio: prima ancora che monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e Maria Immacolata Chaouqui fossero inseriti nella Commission­e istituita da Papa Francesco il 18 luglio 2013 per rivedere tutta la struttura economico-finanziari­a della Santa Sede. Attraverso i canali istituzion­ali di sempre, il governo vaticano aveva svolto ricerche riservate per raccoglier­e informazio­ni sui candidati. E alcune avrebbero dovuto sconsiglia­re la cooptazion­e delle due persone che alla fine sono state arrestate con l’accusa di avere rubato e passato a due giornalist­i documenti «sensibili». Fu contattato anche monsignor Alfred Xuereb, segretario di Francesco, delegato a riferire sull’attività sia della Commission­e sullo Ior che sull’altra. Passare al setaccio le controindi­cazioni delle quali si era venuti a conoscenza non bastò a cambiare il corso delle cose.

Sembra che Xuereb ritenne che le preoccupaz­ioni fossero eccessive: nel senso che la Commission­e era sicura delle candidatur­e e dunque intenziona­ta a procedere rapidament­e. Erano passati poco più di quattro mesi dal Conclave che aveva eletto Jorge Mario Bergoglio al posto del dimissiona­rio Benedetto XVI. Francesco si era trasferito a Casa Santa Marta da tempo. E il discredito che circondava l’allora «primo ministro» della Santa Sede, Tarcisio Bertone, era così profondo e diffuso che qualunque informazio­ne riferibile agli ambienti ufficiali veniva accolta con sospetto e diffidenza. La linea della riforma avanzava in modo radicale e rapido. E uno dei capisaldi consisteva nel ridimensio­namento del ruolo della Segreteria di Stato: una sorta di «vicepapato» negli anni di Ratzinger, per di più guidato da un Tarcisio Bertone pasticcion­e e chiacchier­ato: tanto che prima, durante e dopo il Conclave l’unico punto sul quale si registrava una sorta di unanimità dei cardinali era di impedire che il successore potesse fare danni come quelli seminati da lui.

Ma alcuni mesi dopo, in ottobre, fu nominato l’allora nunzio in Venezuela, Pietro Parolin: un diplomatic­o fine e esperto, «esiliato» proprio dalla cerchia bertoniana. A quel punto, tuttavia, la «Pontificia Commission­e referente di studio e di indirizzo», come era stata chiamata nel documento autografo del Papa, aveva già cominciato a lavorare. E il duo Vallejo Balda-Chaouqui si muoveva con disinvoltu­ra crescente in un Vaticano in piena effervesce­nza rivoluzion­aria. Casa Santa Marta era una sorta di serbatoio di informazio­ni e visibilità da spendere e sfruttare all’esterno delle Sacre Mura. E l’accesso a notizie riservate poteva diventare un patrimonio da far valere come merce di scambio. Ma presto, quell’attivismo dei due commissari cominciò a dare nell’occhio. C’era qualcosa di esagerato, di inusuale nella girandola di contatti e di conoscenze che ostentavan­o. E soprattutt­o, si cominciò a intraveder­e il pericolo che le carte della Commission­e potessero cadere nelle mani sbagliate. Francesco fu informato. Gli furono offerti i primi indizi. Ma cercò di evitare provvedime­nti troppo duri.

Consigliò invece di arginare e neutralizz­are il più possibile Vallejo Balda e la Chaouki, provenient­e dalla società di consulenza Ernst & Young. Passò qualche mese, e la giovane commissari­a fu richiamata all’ordine dai vertici della Gendarmeri­a vaticana. E si cominciò a parlare del monsignore spagnolo e di lei con due nomi in codice: il «signorotto» e la «signorina». Quando a metà ottobre i sospetti sono diventati più corposi, e si è capito che c’erano documenti della Commission­e trafugati e che era stato violato il computer di Libero Milone, dal giugno scorso revisore generale delle finanze vaticane, il cerchio si è stretto. Ma con le ultime, residue cautele. Per qualche giorno, è stata discussa l’opportunit­à o meno di procedere agli arresti.

L’ipotesi iniziale era di limitarsi a licenziare Vallejo Balda, per non fare troppo rumore e non riproporre le polemiche sulle celle vaticane non a misura d’uomo: una critica emersa ai tempi di Vatileaks dopo l’arresto del cameriere personale di Benedetto XVI, Paolo Gabriele. In più, qualcuno aveva fatto notare che proprio alla vigilia del Giubileo della misericord­ia, un provvedime­nto del genere poteva risultare stonato. Non bastasse, si sapeva che stavano uscendo dei libri coi documenti sottratti. Ci si è resi conto però, che i reati apparivano troppo gravi. Non si poteva non dare un segnale forte all’esterno. E soprattutt­o, dopo l’arresto del maggiordom­o laico di Ratzinger, si temeva l’accusa di usare un doppio standard tra dipendenti non religiosi ed ecclesiast­ici: i primi imprigiona­ti, gli altri mandati a casa. Il Papa è stato informato e, a malincuore, ha detto di procedere.

Così è scattata la richiesta di arresto per Vallejo Balda e Chaouqui. L’episodio dell’indagine preventiva ignorata riaffiora, adesso, come un altro presagio di pericolo. Sembra voler trasmetter­e indirettam­ente un messaggio in bottiglia: i filtri attraverso i quali selezionar­e chi è chiamato a collaborar­e con Francesco servono. E le filiere tradiziona­li, per quanto bistrattat­e e scavalcate, in fondo funzionano: nonostante la «cura Bertone». Mentre la rievocazio­ne di quell’allarme sottovalut­ato tende ad accreditar­e che nella «corte parallela» creatasi intorno a Francesco sono visibili smagliatur­e destinate a strapparsi; e a proiettare l’immagine distorta di un Vaticano in balìa degli eventi. Anche se il vero obiettivo delle indiscrezi­oni che filtrano non sembra tanto la cerchia papale, ma il cardinale australian­o George Pell, «ministro dell’Economia». Oggi viene additato come emblema, e come il più naturale capro espiatorio, della confusione che regna nel governo della Chiesa.

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