Il piccolo Putin e il mito del James Bond comunista
La biografia di Sangiuliano racconta i segreti dello «zar», dall’adolescenza inquieta ai vertici del Kgb
Storia e segreti del nuovo Pietro il Grande, l’uomo che ha ridato alla Russia quasi la potenza dell’impero che fu. Putin – Vita di uno zar (Mondadori, 288 pagg., euro 22) è il titolo del nuovo corposo saggio biografico che Gennaro Sangiuliano, giornalista (è vicedirettore del Tg1) e storico prolifico ha dedicato all’uomo giudicato dalla rivista americana Forbes, proprio in questi giorni, «il più potente del mondo». Ricco di citazioni, ma di agile lettura, il libro di Sangiuliano ci porta a spasso nel tempo immobile della Russia, tra steppe, pianure ghiacciate, kommunalka (antiche e cadenti magioni nobiliari suddivise, dopo la Rivoluzione, tra più famiglie) che hanno forgiato il carattere e la visione del mondo di Vladimir Vladimirovic. Compreso un evento, il lungo assedio nazista di Leningrado (oggi tornata San Pietroburgo) che sconvolse l’esistenza di milioni di esseri umani, inclusi i genitori del futuro presidente, Marija e Vladimir Spiridonovic Putin. Fame, morte (un milione i caduti nella città sventrata dai bombardamenti), la perdita del loro primogenito, Viktor, che il futuro «zar» non conoscerà se non nei racconti di famiglia, visto che nascerà solo nel 1952.
Ma la tragedia di Leningrado sarà completamente introiettata dal giovane Putin, ragazzino ribelle e rissoso, che soltanto nell’adolescenza, tra scazzottate, punizioni e scorribande nei bassifondi della città dalle magiche Notti Bianche di dostoevskiana memoria, troverà equilibrio grazie al judo e al Sambo, la lotta delle truppe scelte comuniste e, naturalmente, allo studio: strumenti indispensabili per accedere alla Lubjanka. Ma, scrive Sangiuliano, a «suscitare in lui l’idea di entrare nel Kgb sono state le suggestioni di una lettura, Lo scudo e la spada ( Scit i mec), una spy story da cui è stata tratta anche una popolare serie televisiva, che narra le avventure di una spia sovietica in Germania, una sorta di James Bond comunista». Lo confermano le parole di Vladimir Vladimirovic: «Quando ero in nona classe, libri e film mi influenzarono a tal punto da far nascere in me il desiderio di entrare nel Kgb. Non c’è niente di strano».
E qui c’è già il Putin che conosciamo per le molteplici cronache che hanno cercato di scandagliarne l’esistenza: come è noto, il futuro presidente russo effettivamente si farà le ossa come agente del Kgb (diventato poi l’Fsb) proprio a Berlino, allora divisa in due e controllata dai sovietici. Ma l’autore non si limita a ripercorrere, con dovizia di particolari ed episodi, la vita di Putin. Gran parte del volume è dedicata al contesto: la storia di un Paese a metà strada tra Europa ed Asia che da sempre attira l’attenzione di intellettuali e viaggiatori occidentali, insieme affascinati e spaventati da un ibrido di cultura cosmopolita e ferocia orientale. Sangiuliano entra nei meccanismi misteriosi (ai nostri occhi) della società russa — apparentemente immutabile nei secoli — ne scandaglia i processi politici, e vi inserisce la storia dell’uomo che ha saputo riscattare — con decisione e realismo, secondo i suoi ammiratori, con brutalità e pensando che il fine giustifica i mezzi, secondo i suoi critici — il fallimento dell’utopia comunista restituendo peso geopolitico a un immenso Paese, che è l’unico (Cina permettendo), vero antagonista degli Stati Uniti e di un Occidente ormai «in decadenza».