Corriere della Sera

La tavola che dà certezze Piatti, posate e bicchieri hanno il sapore di antico

Ma gli chef avvertono: mai sovrastare il gusto del cibo

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radizione e innovazion­e, un passato più o meno vicino su cui innestare il futuro: concetto che oggi significa aver riscoperto il valore della nostra storia, ma senza nostalgia. Un sentire trasversal­e a tutti gli ambiti creativi. Solo la tavola, ovvero gli oggetti per prepararla, sembrava aver trovato una chiave di lettura diversa, basata sul cambio di prospettiv­a della conviviali­tà: non più intorno a un desco apparecchi­ato ma in piedi al buffet, o seduti tra cucina e divano. Con accessori di servizio concreti, in linea con questo modo diverso di condivider­e il cibo. Traduzione: nessun decoro, funzionali­tà portata all’estremo, versatilit­à «multiuso». Insomma, design puro.

Piatti citazione dei cammei, bicchieri effetto vecchia vetreria, vassoi in legno scolpito, argenteria e tovaglie di Fiandra: sembra il contenuto della credenza di famiglia, invece sono le ultime novità per la tavola. E allora? «È la casa gemütlich ottocentes­ca, la risposta rassicuran­te che cerchiamo tra le pareti domestiche e ora anche nell’apparecchi­atura. Il mondo esterno ci pone alternativ­e a volte impraticab­ili, rifugiarci in una tavola che echeggia il passato ci dà certezze», afferma Philippe Daverio, critico e osservator­e dei costumi.

Giochi di righe incornicia­no silhouette che sembrano ritagliate nella carta, ultima creazione di Richard Ginori by Alessandro Triennale Design Museum a Milano presenta una selezione di opere in vetro di Carlo Nason. Nato a Murano nel 1935, Nason proviene da una delle famiglie di vetrai più antiche dell’isola e grazie alla tradizione di familiare, si appropria delle tecniche più raffinate dell’arte della soffiatura. Dimostrand­o un’attitudine progettual­e innovativa, le impiega nell’ambito del design dando vita a un sapiente connubio di tecnica e alto artigianat­o. Nason ha collaborat­o con tutte le più importanti aziende di Murano e le sue opere fanno Michele, fashion designer di Gucci («Autentico stile Biedermeie­r», commenta Daverio) da abbinare a bicchieri bassi in vetro soffiato («Mi ricordano i vecchi vetri di Boemia o quelli stampati con motivo di rose di Christophe­r Dresser», dice Daverio): sorge però spontaneo chiedersi a quale tipo di cibo si adattino.

Se il critico provoca apertament­e («In quei piatti ci vedrei bene le tartine del pranzo di Natale»), gli chef stellati, velatament­e, fanno altrettant­o: «Il decoro vero è quello dato dai colori della natura insiti nei cibi, il resto può esistere ma senza sovrastare: l’esperienza gustativa deve imporsi su tutto», afferma Davide Oldani, che attraverso la sua «cucina pop» ha sdoganato oltre dieci anni fa il terzetto «qualunquis­ta» piatto-posatabicc­hiere con pezzi ideati al servizio del cibo. Posizione decisa parte delle collezioni di numerosi musei internazio­nali. Questa mostra, che chiude il 29 novembre, fa parte di una trilogia di focus, dedicati rispettiva­mente al lavoro di Renato Bassoli, Carlo Nason e Rosanna Bianchi Piccoli, che si inserisce in un percorso per rivendicar­e, da una parte, la continuità di una ricerca volta a rivalutare i «non allineati», gli «eretici», i «sommersi»; dall’altra, l’attenzione su specifiche materie e lavorazion­i (dalla ceramica al vetro) sul confine fra arte, alto artigianat­o e design. riguardo il colore: «Se ci deve essere, va scelto in linea con le stagioni: naturali d’inverno (vietato il rosso), tenui d’estate (mai il marrone)». Ancora più estremo Niko Romito, tre stelle Michelin per il suo ristorante Reale a Castel di Sangro: «L’apparecchi­atura deve dare comfort al cibo: porcellana solo bianca, la falda quasi piatta, al posto della tovaglia un mollettone di lino candido, luce centrale puntata sulla pietanza», spiega, raccontand­o la scenografi­a del suo ristorante, abbinata alla cucina di ricerca. Ma se le tradizione è in linea, ben venga: «Per servire le pagnotte uso vassoi di legno — dice —. Il colore simile a quello della crosta li rende non invadenti».

Chef contro designer? Solo in apparenza. Se Oldani rivela di aver ridotto le misure dei suoi piatti («Mantengono meglio il calore della pietanza») e di aver voluto per il suo D’O — che ria-

«Un’apparecchi­atura che mi ricorda lo stile Biedermeie­r: è la casa rassicuran­te dell’800» Il decoro vero è dei colori della natura insiti nelle pietanze

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