Niko Romito «Per le pagnotte uso vassoi di legno: il colore della crosta le rende non invadenti»
prirà rinnovato tra qualche mese — tavoli più bassi per favorire la postura («In legno di olmo e usati senza tovaglia: voglio valorizzare il fatto a mano»), il designer Marcel Wanders crea con Alessi vassoi di faggio effetto intagliato: finitura a cura di un artigiano della Valle Strona, zona del lago d’Orta storica nella lavorazione del legno, su un decoro al laser contemporaneo.
Passato sì, ma per rafforzare il presente, ribadisce l’architetto Massimiliano Locatelli con «Untitled», il suo primo negozio per la tavola che inaugurerà tra pochi giorni a Milano: «Oggetti che evocano la tradizione, ideati per combinarsi con quello che già abbiamo: aiuteremo a sceglierli e ad abbinarli a quei pezzi ereditati che spesso giacciono perché non si sa come usarli. Restaurandoli, se necessario». Insomma, una tavola unica, ma dove tutto sta con tutto, attraversando confini fisici e temporali: dalla classica tovaglia di fiandra, ma in abaca delle Filippine, a un uovo gigante neo-Fabergé che nasconde moderne posate argentate. D’antan sì, ma con ironia. Resta aperta la domanda sul loro uso: «Lasciamo le sperimentazioni agli chef — chiosa Daverio —. Se il design in tavola strizza l’occhio al classico, forse è il momento di rivalutare i tortellini».
Dressed, design Marcel Wanders per Alessi: piatto in faggio decorato e portauovo in resina Mood di Christofle: uovo in acciaio specchiato e legno con set di posate da 6 in metallo argentato
Piatti Cirque des Merveilles di Richard Ginori, in porcellana decorata a mano
Di Zafferano, bicchieri in vetro soffiato Melting Pot
Accessori da tavola di Untitled
Di Society, tovaglia jacquard Fian in lino e abaca
Di Marc Newson per Georg Jensen, servizio da tè e caffè in argento con dettagli in rattan
usate, piatti sporchi, resti di cibo su tovaglie macchiate: mai, nella storia dell’arte, si erano visti tavoli squallidi come quelli apparecchiati da Daniel Spoerri negli anni 60 del 900. La natura morta, nata come genere autonomo nel XVII secolo, era sempre stata un’occasione di sfoggio di cristalli preziosi, porcellane, vasellame d’argento, tessuti di fiandra e cibi rari disposti con eleganza. L ’eccentrico Spoerri, nato in Romania nel 1930, invece mangiava e poi incollava su pezzi di legno la bottiglia vuota, la tazza usata del caffè, pezzi di pane, cipolle, fiammiferi spenti, mozziconi di sigarette e poi appendeva il tutto al muro. Li chiamava quadri trappola (nella foto) perché in essi intrappolava il caso. Era un Nuovo realismo. Cinquant’anni prima Marcel Duchamp aveva sottratto dal loro contesto oggetti comuni e, collocandoli in un museo, aveva conferito loro la dignità di opere d’arte. Spoerri, invece, contestualizzava l’oggetto nella sua banalità quotidiana e riscattava tutta insieme quel pezzo di realtà. Quando il gallerista Arturo Schwarz vide quelle tavole, Spoerri ne aveva accumulate talmente tante che stava per disfarsene per liberare spazio. Schwarz comprò tutto e lo espose a Milano in una mostra che diede l’avvio a una carriere straordinaria.