Un incontro tra pensiero e natura L’arte sposa l’anima del Chianti
i sono storie che vanno prese alla larga: nel VI secolo a. C. gli Etruschi si stabilirono in prossimità di questi colli fertili, ne fondarono la tradizione agricola e l’arte del coltivar la vite. Il Chianti, il suo vino e le sue colline hanno poi dato colore ai dipinti di Piero della Francesca e di Paolo Uccello, sono stati contesi tra Firenze e Siena, sono infine diventati terra d’elezione per intellettuali inglesi, americani e tedeschi.
Sì, la storia del Castello di Ama, antico fortilizio di Gaiole in Chianti (Siena), va presa da lontano, altrimenti il progetto di Lorenza e Marco Pallanti rischia di sbiadire nella solita storia pseudo mecenatesca: la grande azienda vinicola (con sede nella fortezza) che veicola prodotti tramite l’arte. C’è dell’altro: Castello di Ama produce vino dagli anni 70, ma esattamente quindici anni fa è cominciata anche un’altra storia.
« Siamo stati fulminati da un’installazione di Michelangelo Pistoletto che univa pensiero e natura — racconta Marco —. Così, tramite l’amico Lorenzo Fiaschi, di Galleria Continua, ho contattato l’artista». Percorso consueto: la visita, il soggiorno, l’amicizia. Poi l’installazione: Pistoletto ha ideato un enorme tronco che «cresce» dalle viscere della cantina, come a innestare un pezzo di Chianti nella tenuta. Specchi e legno, come nella cifra dell’artista. Da allora, Marco e Lorenza hanno deciso di intraprendere un percorso insieme ad altri artisti, invitandoli al Castello, facendo assaggiare loro il vino e l’olio locale e lasciandoli liberi (anche per mesi interi) di osservare, ideare, riflettere sul luogo.
Esperienza adesso raccontata nel volume Coltivare e custodire (Corraini edizioni) che contiene, tra l’altro, un racconto dell’amico-scrittore Marcello Fois e un saggio di Philippe Larrat Smith. «A Parigi mi innamoro dell’opera di Daniel Buren — continua Pallanti — ed ecco che lui viene, accetta di lavorare qui». Il risultato è una piccola, fragile muraglia di specchi nel verde intorno alla tenuta, con «ferite» in forma di quadro, nelle quali spunta, reale, vividissimo, il paesaggio toscano.
Via via, negli anni, l’arte contemporanea e l’arte del fare il vino diventano un tutt’uno al Castello di Ama. Perché gli artisti lavorano a contatto con i vignaioli, mangiano il pane con l’olio profumato del posto, si svegliano davanti alle colline di Giotto. «E solo alla fine, se hanno trovato l’ispirazione, lavorano, altrimenti ci si saluta con amicizia e stima — dice Pallanti —. Resta in loro il ricordo del Chianti, come raccontava Louise Bourgeois, che conobbi già nella sua età avanzata. Fu un piacere immenso per noi quando lei stessa propose un progetto». Una pezzo di marmo rosa in forme femminili: così Bourgeois interpretò la bellezza fertile di questa terra.
Anish Kapoor invece ha scelto una piccola voragine di luce e fuoco che si apre in forma tondeggiante nel pavimento della cappellina interna. Il sofisticato Hiroshi Sugimoto, di recente, ha invece creato coppie di modelli aritmetici in marmo (forse è l’eco della matematica che innerva le opere di Piero della Francesca?). La visita al castello prevede il percorso tra le opere e, solo alla fine, le degustazioni. «Perché il vino — conclude Pallanti — è la punta finale del viaggio nell’arte del Chianti».
Da Kapoor a Pistoletto: al Castello di Ama le opere immerse nel territorio e i suoi sapori