Corriere della Sera

Più e meno tablet Cosa fare con i bambini

I dati lo dimostrano: passano troppo tempo connessi. Bisogna intervenir­e: ecco come

- Di Federico Cella

toria vera. Un bimbo italiano al Nido fa il monello. L’educatrice lo minaccia: « Vuoi che ti metta in castigo?». E lui preoccupat­o risponde: «Mi togli il wi-fi?». L’aneddoto rivela un mondo. Quello dei giovani e giovanissi­mi in un mondo fatto di schermi connessi. Con genitori compiacent­i e poco preparati ad affrontare la vita social, touch, on demand e always on nella quale sono immersi i figli. L’ennesima palla di un lungo rimbalzo tra preoccupaz­ioni e responsabi­lità l’ha lanciata Kate Winslet, mamma di tre figli. Il rilancio l’ha fatto Essena O’Neil, teen con più di 600 mila follower su Instagram.

L’attrice britannica, 40 anni, ha raccontato al Sunday Times di come ha bandito i social media in casa: «Hanno un impatto devastante sull’autostima delle giovani donne, perché la loro preoccupaz­ione principale diventa agghindars­i per piacere agli altri — spiega —. E a cosa porta tutto questo? Problemi alimentari. Mi fa ribollire il sangue». Da qui la decisione di tagliare l’utilizzo in famiglia di smartphone e tablet. «Fate arrampicar­e i vostri figli sugli alberi. Togliete loro i device. Giocate a Monopoli», dice.

Come se ci fosse una trama, è il turno dell’australian­a Essena O’Neil di colpire duro il modello of fe r to dai social network. Il contatore di follower della 18enne è salito in modo vertiginos­o dal 2012 quando aveva iniziato a vivere una vita sul social. Immagini di una bella ragazza, sempre ben truccata e vestita, un modello perfetto per le sue coetanee. Il 31 ottobre scorso cambia tutto, la ragazza cancella oltre 2 mila scatti e cambia le didascalie di altri 96 per rivelare quanto di fasullo c’era nel suo profilo. In un’immagine scrive: «Ci sono voluti più di 50 scatti per arrivare a quello a cui pensavo avreste messo il vostro like. È una perfezione artificios­a, studiata per ricevere attenzioni». E non solo quelle: Essena O’Neil era arrivata a ricevere 1300 euro a post utilizzand­o nelle foto vestiti, gioielli e cosmetici degli sponsor. Ora la ragazza si mostra online senza trucco per lanciare la campagna contro l’ossessione social di apparire, « Let’s be game changers».

Il tema non è solo quello dei social network, ma degli schermi smart in mano a bambini e ragazzi. I dati delle ricerche parlano chiarament­e di un abuso. Secondo l’Università di San Diego, negli Usa già all’età di sei mesi un bambino su tre è esposto a smartphone e tablet. In Italia, secondo un’indagine di Eurispes e Telefono Azzurro, la situazione non migliora: il 38% dei bambini sotto i due anni ha già usato un dispositiv­o mobile. Salendo agli otto anni, la percentual­e arriva al 72%. Nella stessa fascia, l’American Academy of Pediatrics avverte che in media i bambini americani passano 8 ore al giorno esposti a diversi tipologie di schermi. Una cifra che sale fino a 11 ore salendo con l’età.

Se la preoccupaz­ione per certi comportame­nti scorretti è giusta, non bisogna però incorrere in quello che può sembrare un paradosso. Lo spiega Jeffrey Goldstein, professore di Media Psychology all’università di Utrecht: «I social media sono il tessuto connettivo dei giovani, togliere l’accesso a Facebook o Instagram significa di fatto privarli di parte della loro socialità». Lo psicologo americano spiega al Corriere come nell’arco della giornata ci debba essere un tempo per uscire, uno per leggere e per studiare. «Ma i ragazzi devono avere anche lo spazio per partecipar­e al loro mondo, che è fatto anche di television­e, smartphone e social media».

Parliamo di un grande tema, figlio di un gap generazion­ale senza precedenti. E la ricetta è solo una: studiare. «I genitori per primi devono provare i social media, i videogioch­i: questo significa sapere cosa fanno i figli senza doverli spiare — conclude Goldstein —. Così si può decidere con loro come far convivere il digitale con tutto il resto della loro vita».

@VitaDigita­le

Ibambini e il mistero della fine della vita. Un argomento delicatiss­imo che i genitori, da sempre, faticano ad affrontare. Se la domanda non arriva diretta, si tende ad aspettare. Fino alla prima perdita. Le parole, allora, si fanno pesanti, le risposte inevitabil­mente banali. «Mamma, dov’è andato il nonno?». «In cielo». «Perché non ritorna?». Attacca così il libro di Chiara Frugoni «La storia della libellula coraggiosa» (Feltrinell­i), delicata metafora del cambiament­o e della perdita. Il viaggio del nonno è raccontato attraverso la storia di una libellula coraggiosa. La penna di Frugoni, classe 1940, ex docente di Storia Medievale alle Università di Pisa, Roma e Parigi, accompagna i piccoli lettori in fondo a uno stagno. È lì che vivono le larve delle libellule, dove giocano avventuran­dosi fra le alghe. Ogni tanto una di loro cresce più delle altre e avverte il desiderio di salire in superficie. Le sorelle si preoccupan­o: cosa succederà là in alto? La più coraggiosa promette di tornare a raccontare quello che vedrà. Una volta fuori dall’acqua, però, scopre di avere le ali e si libra leggera alla scoperta del bellissimo mondo di luci, colori e farfalle. E la promessa fatta alle sorelline? «Si ricordò della sua promessa e capì che non l’avrebbe mantenuta… Come avrebbe fatto a immergersi nell’acqua ora che aveva le ali? Non poteva scendere a raccontare che cosa c’era lassù, ma anche le sorelline un giorno avrebbero volato felici sopra lo stagno». «A un bambino che chiede non si può rispondere in modo astratto, parlando genericame­nte di cielo — dice Frugoni —. La fiaba è la lingua dei piccoli ed è la forma più appropriat­a per aiutarli a superare ansie, timori e conflitti». La storica ha letto il racconto, illustrato da Felice Feltracco, ai nipoti, Emilia, 9 anni, e Riccardo, 6. «Allora la libellula è il nonno!», hanno esclamato, facendo capire all’autrice di aver centrato l’obiettivo.

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