La memoria economica che rimane dopo le crisi
Com’è che non riusciamo a toglierci di dosso la Grande Recessione? E dunque abbiamo l’impressione che, anche a crisi finita, lo choc sia rimasto nelle economie, soprattutto quelle occidentali, e non torniamo alla situazione precedente, al 2006 per dire? Una risposta, sulla quale è iniziata una discussione tra economisti, si chiama «isteresi»: sostanzialmente quello che rimane nella memoria di un sistema dinamico che è stato sottoposto a una forza esterna anche quando questa forza viene a cessare. Come quando per esempio una limatura di ferro viene sottoposta a un campo magnetico: quando questo finisce, la limatura mantiene un certo allineamento. Solo un campo magnetico di segno opposto può eliminare la magnetizzazione. La questione «isteresi» in economia è probabile che diventi un punto di dibattito frequente nei prossimi mesi dopo il paper fatto circolare ieri dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e scritto dall’ex ministro del Tesoro americano Larry Summers; da Olivier Blanchard, capo economista del Fmi fino a una settimana fa; da Eugenio Cerutti, del dipartimento di Ricerca del Fmi stesso. Un lavoro che sviluppa un dibattito intenso tenuto la primavera scorsa durante il seminario annuale della Banca centrale europea a Sintra, in Portogallo. Lavorando su dati statistici dagli Anni Sessanta a oggi, i tre economisti hanno analizzato le recessioni e il dopo recessioni in 23 Paesi avanzati. Le cose interessanti che sottolineano sono parecchie. Quello che si può evidenziare qui, sono alcune ricorrenze caratteristiche di un dopo crisi. Due terzi delle recessioni studiate sono seguite da una ripresa nella quale la produzione è più bassa del trend prerecessione. «Ancora più sorprendente», dice lo studio è il fatto che in quasi il 50% dei casi la crescita della produzione sia più bassa del trend precedente la crisi. È insomma al lavoro una «isteresi». Queste proporzioni sono maggiori quando la recessione è provocata da uno choc esterno, tipo prezzo del petrolio o crisi finanziaria. Ma anche quando è causata da manovre monetarie restrittive, l’output gap rimane nel 63% dei casi. I tre economisti dicono che l’esistenza delle «isteresi» indica deviazioni dai livelli ottimali più ampie delle attese. E implica che le banche centrali dovrebbero sviluppare una politica monetaria che «reagisce in modo più forte ai movimenti della produzione». E qui si può aprire un bel dibattito.