Corriere della Sera

Il ricatto energetico e i rischi per le aziende

- Di Stefano Agnoli

Mosca rispolvera l’arma del «ricatto» energetico, come nel 2006 e nel 2009? È vero che da qualche settimana Gazprom ammoniva l’Ucraina sul fatto che senza ulteriori pagamenti avrebbe sospeso le forniture di gas. Ma il rapporto nell’energia tra Mosca e Kiev non è mai stato solo commercial­e, e la coincidenz­a con l’abbattimen­to del Su-24 (e il sabotaggio tre giorni prima delle linee elettriche verso la neoannessa Crimea, che ha lasciato la penisola al buio) è parsa fin troppo evidente. Le formule e la retorica di Gazprom sono le stesse di sei e nove anni or sono, ma non sfugge neppure che questa volta ad essere destinatar­ia del medesimo messaggio non sono solo Ucraina e Unione Europea ma anche la Turchia, che importa dalla sponda russa del mar Nero circa il 60% del gas di cui ha bisogno. Alleate fino a qualche mese fa, tanto da siglare un memorandum sulla costruzion­e del Turkish Stream, il gasdotto che avrebbe dovuto bypassare l’Ucraina, ora Mosca e Ankara si trovano su posizioni contrappos­te. Nel breve periodo la pressione energetica potrebbe mettere nei guai Turchia e Ucraina, soprattutt­o se l’inverno fosse freddo, e preoccupar­e l’Europa, che dipende per il 30% del suo fabbisogno dalla Russia (e il 12-13% passa proprio per l’Ucraina). Ma con gli incassi da petrolio falcidiati dal barile sceso sotto 50 dollari, anche Mosca ha bisogno del denaro dei suoi clienti. Sul lungo periodo, poi, la vecchia mossa sul gas non farebbe che convincere ancora di più l’Europa ad investire sul «Corridoio Sud», che ha le sue fonti di approvvigi­onamento in Azerbaigia­n (e in prospettiv­a in Iran). Poco cambierebb­e anche per le imprese italiane. Quella più esposta era la Saipem, che comunque da tempo ha messo una pietra sopra il Turkish Stream. L’azienda di servizi petrolifer­i è invece in corsa per il raddoppio del Nord Stream, il gasdotto del Baltico che i russi vogliono rafforzare, e lavora da tempo proprio in Azerbaigia­n.

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