Corriere della Sera

Non pronuncia la parola «guerra» E richiama «libertà e diritti»

- Di Marzio Breda

Le «risposte apparentem­ente semplici non ci aiutano», così come «le semplifica­zioni non sono persuasive». È questo il passaggio che riassume il punto politico di più stringente attualità, nel discorso di Sergio Mattarella ieri a Strasburgo. Il massacro di Parigi, con l’ondata di orrore e paura che ha innescato, continua a far dilagare reazioni troppo emotive e spesso associate ad ansie di rappresagl­ia. Lui, in quasi mezz’ora di intervento, non scivola mai in certe ricorrenti metafore sullo scontro di civiltà. Né pronuncia la parola guerra (tranne quando evoca le due mondiali del Novecento). Dice solo, e con l’aria che tira non è poco, che per l’Europa «ferita» la sfida non va affrontata sulla base di calcoli e logiche nazionali, «chiudendo le frontiere e sbarrando la strada a chi fugge dai conflitti o dalla fame». E neppure ha senso affrontarl­a — è il suo sottinteso — con azioni di forza, militari, che nascano in modo scoordinat­o, magari senza una strategia su come gestirne i postumi. Lo dimostrano alcune esperienze recenti, dall’Iraq alla Libia, nelle quali l’Occidente si è intrappola­to e sulle quali il presidente è sempre stato critico. Soprattutt­o, secondo il capo dello Stato, non vanno mortificat­i e compressi «i principi fondamenta­li del nostro essere europei». Infatti, se va tutelata la nostra piena sicurezza (anch’essa «un bene»), non possiamo però «deturpare» l’idea che l’Europa continui a essere «uno spazio di libertà e tutela dei diritti e di pace». Le giovani generazion­i non capirebber­o una simile regression­e, qualunque sia l’alibi dietro il quale si voglia farla passare. Non la condivider­ebbero, è la sua tesi, perché proprio su di loro si fonda il nuovo «demos europeo». Cioè lo spirito di un popolo ormai legato da sentimenti diffusi, e culturalme­nte interioriz­zati, di comunità in cui si rispecchia la biografia di Valeria Solesin, «ragazza italiana ed europea», uccisa al Bataclan. Un esempio concreto, l’identità plurale della studentess­a veneziana e di milioni di suoi coetanei, che Mattarella fa per evitare astrazioni o amletismi ambigui, nel messaggio che affida all’Europarlam­ento. Ed è forse questo sforzo di denudare ogni risvolto della crisi in cui siamo avvitati, senza fasciare i ragionamen­ti nella usuale retorica politicist­a, che l’assemblea percepisce, quando gli dedica una standing ovation di quelle che si riservano alle autorità morali più che ai leader di partito o di governo. Applausi al suo richiamo a essere più uniti, mentre prevale la tentazione di procedere a ranghi sparsi. E all’appello a gestire la globalizza­zione evitando di sentirci come chi sta barricato dentro un fortino. E, ancora, consensi al suo invito a uno scatto in avanti riformando le istituzion­i dell’Ue, perché, come diceva Monnet, «non possiamo fermarci quando il mondo intero è in movimento». Allora quella scossa funzionò, ma oggi?

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