Non pronuncia la parola «guerra» E richiama «libertà e diritti»
Le «risposte apparentemente semplici non ci aiutano», così come «le semplificazioni non sono persuasive». È questo il passaggio che riassume il punto politico di più stringente attualità, nel discorso di Sergio Mattarella ieri a Strasburgo. Il massacro di Parigi, con l’ondata di orrore e paura che ha innescato, continua a far dilagare reazioni troppo emotive e spesso associate ad ansie di rappresaglia. Lui, in quasi mezz’ora di intervento, non scivola mai in certe ricorrenti metafore sullo scontro di civiltà. Né pronuncia la parola guerra (tranne quando evoca le due mondiali del Novecento). Dice solo, e con l’aria che tira non è poco, che per l’Europa «ferita» la sfida non va affrontata sulla base di calcoli e logiche nazionali, «chiudendo le frontiere e sbarrando la strada a chi fugge dai conflitti o dalla fame». E neppure ha senso affrontarla — è il suo sottinteso — con azioni di forza, militari, che nascano in modo scoordinato, magari senza una strategia su come gestirne i postumi. Lo dimostrano alcune esperienze recenti, dall’Iraq alla Libia, nelle quali l’Occidente si è intrappolato e sulle quali il presidente è sempre stato critico. Soprattutto, secondo il capo dello Stato, non vanno mortificati e compressi «i principi fondamentali del nostro essere europei». Infatti, se va tutelata la nostra piena sicurezza (anch’essa «un bene»), non possiamo però «deturpare» l’idea che l’Europa continui a essere «uno spazio di libertà e tutela dei diritti e di pace». Le giovani generazioni non capirebbero una simile regressione, qualunque sia l’alibi dietro il quale si voglia farla passare. Non la condividerebbero, è la sua tesi, perché proprio su di loro si fonda il nuovo «demos europeo». Cioè lo spirito di un popolo ormai legato da sentimenti diffusi, e culturalmente interiorizzati, di comunità in cui si rispecchia la biografia di Valeria Solesin, «ragazza italiana ed europea», uccisa al Bataclan. Un esempio concreto, l’identità plurale della studentessa veneziana e di milioni di suoi coetanei, che Mattarella fa per evitare astrazioni o amletismi ambigui, nel messaggio che affida all’Europarlamento. Ed è forse questo sforzo di denudare ogni risvolto della crisi in cui siamo avvitati, senza fasciare i ragionamenti nella usuale retorica politicista, che l’assemblea percepisce, quando gli dedica una standing ovation di quelle che si riservano alle autorità morali più che ai leader di partito o di governo. Applausi al suo richiamo a essere più uniti, mentre prevale la tentazione di procedere a ranghi sparsi. E all’appello a gestire la globalizzazione evitando di sentirci come chi sta barricato dentro un fortino. E, ancora, consensi al suo invito a uno scatto in avanti riformando le istituzioni dell’Ue, perché, come diceva Monnet, «non possiamo fermarci quando il mondo intero è in movimento». Allora quella scossa funzionò, ma oggi?